A partire dal 1uglio 1984 ho lavorato per alcuni anni come funzionario presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, uno dei due grandi istituti librari, assieme all’analoga biblioteca di Roma, con la finalità di raccogliere, conservare, documentare l’attività editoriale italiana e quella straniera, sempre relativa al nostro paese. Lavoravo all’Ufficio Automazione che con tecnologia IBM provvedeva all’iniziale, via via crescente catalogazione del vasto patrimonio librario del nostro paese, pure ai fini di una più celere compilazione della Bibliografia Nazionale.
Spesso, in lungo e largo attraverso i vasti ambienti dell’istituto, mi capitavano sotto gli occhi i tanti volumi, colpiti dall’alluvione fiorentina del 1966 e, ancora lì, in condizioni di attenta sicurezza e controllo del microclima conservativo, in attesa di un sospirato intervento di restauro. Erano trascorsi ben 18 anni dalla tragica rovina dell’Arno e tanto pregevole materiale bibliografico giaceva fuori uso, inconsultabile con i segni del fango: era una vista che mi annodava la gola con i ricordi di studente ginnasiale dinanzi all’inondazione di Firenze, scrigno di arte e civiltà e, in quel momento drammatico, anche dimora di infinita disperazione dei suoi cittadini.
Quest’anno, ormai da 37 anni residente a Forlì, in questa cara, ospitale città d’adozione ho nuovamente conosciuto il dramma dell’alluvione, anche per l’esperienza diretta di mio figlio nel quartiere dei Romiti: così, ho vissuto la vicenda del prezioso patrimonio librario e documentario del seminario forlivese e del deposito comunale di via Asiago, praticamente andato sommerso da acque luride, fangose. Di nuovo, l’ammirevole corsa di tanti volontari, significativa nel suo valore quella dei giovani, in lotta contro il tempo per cavare dalla rovina volumi, manoscritti, fasci documentari, fondamentali per la memoria storica di Forlì e della sua comunità cristiana.
Altrettanto ammirevole l’immediata, sensibile premura di alcune imprese in soccorso con l’uso di loro celle frigorifere nelle quali collocare i volumi offesi per prevenire la formazione di muffe, altri agenti biologici o chimici, tanto dannosi per la carta, le coperte in pelle e quelle lignee, soprattutto per gli inchiostri sino alla cancellazione, parziale o totale, dei testi, manoscritti o a stampa che siano. Non ultimo, ammirevole il sostegno di alcuni esponenti della cultura forlivese, come il professor Giovanni Tassani e l’architetto Sauro Turroni, prodigatisi perché subito si salvasse il salvabile da tanto guaio contro la testimonianza del passato forlivese.
Tuttavia, non facciamoci soverchie illusioni: ci vorranno anni, decenni, forse più di una generazione prima di veder recuperata, restaurata ampia parte del patrimonio forlivese alluvionato del seminario e di via Asiago; occorrerà già del tempo per approntare nei laboratori interessati una specifica “catena forlivese di smontaggio e rimontaggio”, comprensiva di tutte le fasi del restauro ovvero collazione, scucitura, operazioni umide, rattoppo, cucitura e legatura; si dovrà, purtroppo, sulla base di una stima del valore culturale, poi dei danni, infine dell’eventuale contenuto simbolico delle opere colpite, stabilire cosa salvare presto e cosa lasciare indietro; si dovrà, poi, fare i conti tra i costi elevati del restauro e il budget annuale dei fondi disponibili, sempre minimi e per interventi contenuti, quindi costringendo spesso a restaurare opere “piccole” per stare nella tabella numerica annuale dei recuperi programmati.
Un esempio su tutti. Nel 2019, perciò a ben 53 anni dall’esondazione dell’Arno, su 70.272 volumi alluvionati della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze risultavano restaurati appieno 41.078 pezzi, pari al 58,4% del complessivo danneggiato, e questo dopo oltre mezzo secolo trascorso. Certo, i numeri della rovina forlivese sono inferiori, ma nessuno si illuda di tempi celeri senza intoppi burocratici e con costanza di finanziamenti: il tavolo di lavoro per il restauro e ritorno del patrimonio librario, documentario forlivese dovrà, per questo, essere garantito nel tempo, seguito con continuità e vigilanza, in modo particolare tenuto libero dai lacci e lacciuoli della politica.
Franco D’Emilio