A Forlì dopo tanta rovina dell’alluvione sulla città, sino a spaccarla in due, da una parte la comunità salva, dall’altra quella in ginocchio, adesso è il momento del sospetto, dell’astio, sempre e comunque, ad ogni costo e a prescindere. Sono la diffidenza e l’ostilità della sinistra che, oggi all’opposizione dopo la caduta peracottara alle amministrative del 2019, con tanta acredine, pure stizzosa e muriatica, non perde occasione per colpire pretestuosamente, insensatamente e, perché no, anche vigliaccamente l’operato del sindaco Gian Luca Zattini e della sua giunta.
È il fango della sinistra, anzi no, la mota, così in Toscana chiamiamo la fanghiglia più sudicia, molliccia e appiccicosa, termine naturalmente usato in senso spregiativo anche verso persone poco raccomandabili o verso attività, svolte in modo scorretto.
Dunque, contro il sindaco Zattini tanta mota di insinuazioni e malanimo in un momento incerto, difficile, soprattutto sotto il profilo dell’emergenza e del sostegno: insomma, in un frangente, nel quale sarebbe auspicabile sopire i bollori del contrasto politico per un impegno comune dell’intera classe politica locale, accade che contro Forlì e il suo ritorno alla normalità si manifesti lo sciacallaggio cinico e strumentale della sinistra.
Seppur in scala minore, l’alluvione è stata per i forlivesi come “L’ora più buia” dell’omonimo film sul merito di Winston Churchill contro la guerra nazista grazie all’appoggio concorde dei conservatori e dei laburisti inglesi. Subito, palla al balzo, qualche saccente forlivese della “sinistra che fu” obietterà tagliente che Zattini non è Churchill, ma, altrettanto al volo e di schiacciata, è la mia replica che neppure tra la nostra opposizione cittadina pare di scorgere un minimo emulo di Clement Richard Attlee, il grande leader laburista, alleato di Churchill, appunto, nell’ora più buia. Zattini è sindaco perché ha vinto; l’opposizione, invece, non si rassegna affatto all’abito stretto del perdente, quindi rosica e trama: eppure a deciderlo è stato lo stesso ago del voto.
Zattini, uomo dabbene e galantuomo, non mi stancherò di scriverlo, svolge il suo ruolo di amministratore per obiettivi, utili ad uscire dall’emergenza; l’opposizione di sinistra, diversamente, dice no a tutto, critica qualunque provvedimento, si sottrae ad ogni proposito di dialogo, di confronto anche critico, ma costruttivo con la giunta. Sono tutti lì, fameliche iene dell’opportunismo politico: il giovanottino di belle speranze, promessa emergente di una sinistra con un ossimorico futuro senza domani; il leguleio che ancora ostinatamente conciona, inascoltato; qualche ex parlamentare, ormai davvero al verde; la suffragetta sindacale, pronta alla possibile ascesa alla scala municipale forlivese; ultime le solite, immancabili signore da salottino di sinistra, acide lingue taglia e cuci, sempre a sferruzzare critiche e invettive ai piedi della ghigliottina nell’attesa che cada la vituperata testa.
Sono tutti lì contro Zattini: duri e insolenti, saputelli, ma solo pronti a gettare il sasso, nascondendo la mano; importante è agitare lo stagno del risentimento, dell’impazienza di chi vorrebbe tutto e presto, senza se e senza ma, al diavolo il sindaco di centrodestra e il pari governo Meloni. Sono il primo ad ammettere che nella gestione del post-alluvione si poteva fare meglio e più tempestivamente, ma, fondatamente, non credo affatto che Zattini abbia fallito su tutto contro l’emergenza, tanto meno che si sia piegato al governo, i fatti non lo dimostrano, e, ancora di più, che, a favore di banche, abbia provato a fare il furbo sui fondi raccolti per gli alluvionati. Il mite, ma realista sindaco Zattini cerca le soluzioni migliori ai problemi della città alluvionata, consapevole del rischio di critiche; l’opposizione fa solo la bastian contraria, attizza e fomenta, convoca sparute piazze, nulla di più.
Eppure, basterebbe sfogliare l’album politico della sinistra di governo, sia alla guida della nazione che a quella di Forlì, per trovarvi tante perle di pochezza, superficialità e pressapochismo. La sinistra forlivese non cerca il confronto propositivo perché incapace di questo ruolo, è in balia di astinenza dal governo della città e da quanto ne consegue. E pensare che a Firenze dopo l’alluvione del 1966 per tutto il periodo dell’emergenza ci fu un compatto, solidale fronte comune di tutti i partiti, allora in Consiglio comunale, sotto la ferma mano del sindaco Piero Bargellini.
Non solo, sollecitata dal buon esempio della politica, tutta la città gigliata, indipendentemente dalle idee politiche e altro, affrontò a testa bassa e unita la grande sventura: dai quartieri popolari e operai dell’Isolotto a quelli benestanti di piazza delle Cure e della via Fiesolana; dalle fabbriche del Pignone e della FIAT ai ricchi commercianti del centro storico; dalla Società di Mutuo Soccorso di Rifredi alle stanze silenziose dell’università o del glorioso Circolo Fratelli Rosselli. Altri tempi, dirà qualcuno. No, credetemi, soprattutto una questione di attributi, personali e politici, ciò che oggi manca alla sinistra forlivese, sempre più incline ad un’auto evirazione tafazzista, nonostante si avvicinino nuove elezioni, solitamente per protagonisti con tanto di zebedei.
Franco D’Emilio