Ho seguito con attenzione, ma pure tanta sorpresa, in parte anche indignazione e disapprovazione il funerale di Michela Murgia, recentemente scomparsa: figura iconica, per questo dissacrante e divisiva, del nuovo intellettualismo di un’avanguardia di sinistra, critica e saccente contro tutti e tutto, innanzitutto la destra, poi la stessa sinistra ufficiale, quindi, estesamente, contro chiunque la pensi diversamente. Dissacrante e divisiva fino all’ultimo, persino nel suo funerale, anche se qualcuno subito obietta quanto la triste cerimonia trascorsa abbia confermato la coerenza della scomparsa e, naturalmente, dei suoi, più o meno dichiarati, accoliti.
Funerale happening, dentro e fuori la Chiesa degli Artisti a Roma, quello di ieri per l’estremo saluto alla Murgia: la liturgia politica, irriverente, tanto pervasa di faziosa acredine, ha prevalso su quella rituale, religiosa, l’unica ammissibile in un luogo di culto, ma ieri travolta, quasi soppiantata, pure per la responsabilità complice di un’autorità ecclesiastica arrendevole, spero non interessata. La scomparsa aveva reclamato un funerale politico, quindi è stata accontentata con uno degli sproloqui, sempre più obsoleti, di Roberto Saviano, e un intervento nonsense, senza capo né coda, dell’amica Chiara Valerio. Infine, tocco impeccabile in tanto esibizionismo del profano sul sacro, pur se fuori dalla chiesa, un cartello inneggiante alla “famiglia queer”, fortemente sostenuta dalla stessa Murgia, ed un patetico coretto di Bella ciao, occasione troppo ghiotta per non farcire tutto con tanta nostalgia partigiana e resistenziale.
Pure il sagrato di una chiesa è consacrato, quindi ieri in uno spazio sacro è stato offensivo quel drappo bianco inneggiante alla famiglia queer, il termine inglese significa, pensate un po’, bizzarro, stravagante; s’inneggiava, allora, alla famiglia dove nessuno dei componenti si riconosce eterosessuale, perlomeno si identifica biologicamente maschio o femmina, dunque tutto è lecito contro la chiesa e la sua dottrina in nome del libero orientamento sessuale: eppure, ieri, alla Murgia, alfiere della famiglia queer, sono giunte parole di saluto, anche se a titolo personale, dell’arcivescovo Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, opportuno?
Per volontà della scomparsa, sempre nel segno del suo anticonformismo, pochi fiori, appena una corona, solo applausi, caciara e disordinata, sciatta partecipazione al funerale: nelle foto e nei filmati persone addirittura sedute in terra, altre contro le pareti, qualcuno pigramente appoggiato ad un confessionale, insomma tutto mi rievocava lontane assemblee studentesche universitarie dello scalcagnato ’68 italiano, quando tanti partecipavano per compiacente, interessata adesione a vantaggio dei pochi che gestivano, manovravano il tutto. Che pena! In generale e pure personale, come cittadino e credente!
Ieri, nella Chiesa degli Artisti a Roma, si è svolta una inaccettabile commistione, alquanto ruffiana ed eretica, tra sacro e profano, tutto quasi per un ulteriore imprimatur alla figura, all’opera dell’estinta: dunque, a quando, perché a questo punto inevitabile, la santificazione della Murgia?
Michela Murgia, adesso, è solo un’eroina della nuova sinistra, come qualcuno ha scritto, ma la nuova élite della sinistra, immemore della battuta di Brecht “sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi”, vuole addirittura la santa, la donna Murgia oggetto di una venerazione, religiosamente sentita. In conclusione, grande, indimenticabile funerale happening, persino un’occasione ghiotta per una rinnovata visibilità di quei soliti miracolati della sinistra, ora disoccupati, senza più un proprio salottino fisso in televisione, non faccio nomi solo perché l’elenco sarebbe estesamente lungo.
Michela Murgia non è stata affatto protagonista di alcuna battaglia civile poiché una vera battaglia civile presuppone sempre l’apertura agli altri in termini di confronto ed accoglienza e non quella dimensione, chiusura faziosa, settaria con la quale la scomparsa intendeva imporsi. Solo fondatrice di una vera e propria setta di accoliti che dovevano accettare un credo assurdo, divisivo, tanto presuntuoso; una donna che si diceva credente, ma si è rivelata immemore delle parole di Sant’Agostino “È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l’umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli”.
Franco D’Emilio
1 commento
“Scherza coi fanti… e lascia sta i santi”. Sempre meglio del tuo “Dio, Patria e Famiglia.