Quale progetto culturale per Forlì?

Piazza Saffi foto di Renzo Zilio

Credo che il confronto politico elettorale per le prossime amministrative forlivesi del 2024 debba impegnarsi, di più e diversamente dal passato, sul tema “quale possa essere il progetto culturale complessivo della città” ovvero andare ben oltre la sinora prevalente visione dell’allocazione-sistemazione del patrimonio culturale cittadino, quindi dei servizi correlati per la sua fruizione, fra l’altro mutevole per l’ampia tipologia dei beni compresi.
Intendo significare che, fino ad ora, il Comune di Forlì si è premurato di provvedere soltanto alla gestione o “governance”, come diffusamente si usa oggi dire per soggezione anglofila, del proprio tesoro culturale, dunque si è limitato a definire nel tempo la migliore strategia possibile che trovasse consenso e partecipazione dei cittadini entro gli spazi della gestione culturale (musei, archivi, biblioteca, luoghi espositivi) e attorno a quelli della pianificazione amministrativa della cultura cittadina (assessorati alla cultura e alla scuola, commissioni consiliari, fondazioni, istituti pubblici e privati, infine le diverse associazioni ed esperienze cittadine attive nel settore).

Tutto questo, però, ha rappresentato esclusivamente la scelta di una “politica territoriale gestionale” della cultura, persino nell’avvenuta mutazione di metodo e fini, segnata dal passaggio del governo cittadino dal centrosinistra al centrodestra.
Da lungo tempo, Forlì vive l’equivoco che l’attività di questa “politica territoriale gestionale” possa intendersi come espressione di un progetto culturale forlivese, che, invece, in realtà non è mai esistito in passato ed è inesistente tuttora. Infatti, un progetto o modello culturale di territorio, vaste, ormai, la letteratura e l’esperienza al riguardo, richiede l’imprescindibile sinergia tra una “politica gestionale territoriale” e la linea guida di una specifica, vincolante “politica culturale”.

In conclusione, il Comune di Forlì ha perseguito e ancora persegue unicamente la gestione culturale, identificandola come modello, progetto culturale della città: errore davvero grave perché salta, omette la necessità del parallelo affiancamento di una scelta di politica culturale, relativa alla definizione della filiera culturale cittadina: programmi di sviluppo della conoscenza; programmi di conservazione; infine, modalità di sempre progressiva attuazione e correlazione tra fruizione e valorizzazione del tesoro culturale; naturalmente, tutta questa attività programmatica di politica culturale deve avvenire entro gli ambiti della cultura, intesa nel suo senso più intrinseco: formazione, ricerca, educazione.

Da qui, la mia conclusione che sul tema della cultura il Comune di Forlì non abbia mai disposto un vero progetto per definire un modello culturale, duraturo nel tempo e di forte coincidenza tra la sua elaborazione e la sua prassi gestionale: sinora, sinistra e destra vanno a braccetto, in campo culturale il Comune di Forlì ha sempre preposto e prepone la gestione territoriale allo sviluppo delle linee di una politica di indirizzo.
Da questa impostazione, segnale di una chiara incapacità elaborativa della nostra classe politica nelle strategie culturali, derivano alcune conseguenze, possibili e, direi agevolate, proprio per l’esistenza di una gestione svincolata da un percorso progettuale.

Così, come racconta la cronaca forlivese degli ultimi mesi, diventa allora proponibile e fattibile lo spostamento di diversi, interi blocchi del nostro patrimonio culturale per finalità dubbie, se non discutibili o, addirittura pretestuose, e con costi di solo, evidente sperpero di danaro pubblico; ancora, nonostante il disastro alluvionale del patrimonio culturale nel deposito comunale di via Asiago, scelta scellerata di una trascorsa sindacatura del centrosinistra, si osa ora proporre nuove sistemazioni archivistiche seminterrate, semplicemente irresponsabili e azzardate, perché fuori da ogni buon criterio dell’archiveconomia; ancora di più, c’è l’incombente, attuale pericolo di una diversa e, purtroppo, mutevole allocazione del patrimonio della biblioteca civica; infine, ingiustificata rispetto alla memoria storica, quindi all’identità culturale della città, salta fuori la bizzarra, astrusa scemenza di un “miglio bianco”, frutto sicuro di un capriccetto personale, non di lungimirante saggezza gestionale della vita culturale cittadina. Insomma, proprio per la cronica mancanza di un serio progetto culturale, ben elaborato nelle sue linee guida, vincolanti la sua stessa pratica di gestione, a Forlì il campo della cultura è diventato e resta come il gioco del monopoli dove tutto si sposta in un andirivieni di occasionali, temporanee necessità: tutto il contrario di quanto diversamente occorre alla realizzazione del modello culturale di riferimento della comunità forlivese.

Solo in un modello culturale completo riusciremo a definire come parte integrante e non più dominante il ruolo della Fondazione ed altri soggetti, promotori, sì, di mostre forlivesi di caratura internazionale, ma, perlopiù, senza un particolare coinvolgimento della filiera culturale cittadina.
Solo disponendo anche di un significativo modello culturale, potremo pensare di affrontare con maggior realismo la questione dell’abbandono del centro storico e del rapporto di quest’ultimo con la proliferazione infinita dei centri commerciali.
Diversamente, la gestione della cultura a Forlì resterà posticcia, pericolosamente ondivaga, più spettacolare anziché sobria e di valore, ma soprattutto docile e sottomessa agli azzardi originali, agli eventi clou, alle illusorie luminarie, agli spettacolini di piazza degli amministratori in carica.

Franco D’Emilio

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