A Forlì “Sommersi salvati” la mostra che cava il cuore dal fango

mostra sommersi salvati

Un disastro! Nonostante siano state ampiamente ripulite, sulle pareti del seminterrato, che ospitava la preziosa biblioteca del Seminario Vescovile di Forlì al numero civico 47 di via Lunga, figurano tuttora evidenti i segni dell’alluvione, a maggio inesorabilmente devastatrice di tanto patrimonio culturale della nostra città. Sì, non c’è più fango, non c’è più l’odore nauseabondo dell’acqua stagnante, non c’è più l’iridescenza degli oli combustibili frammisti alla mota, ma resta il disastro delle conseguenze di quanto tristemente accaduto: conseguenze che saranno anche durature nel tempo e per questo chiedono prove concrete di impegno, soluzioni sulle quali fondare la speranza certa di uscire, pur lentamente, da tanto guaio. Non sarà facile!

Poco più di 150 mila volumi, comprese circa 1.500 cinquecentine ovvero libri stampati nel XVI secolo con un’organizzazione formale del testo (frontespizio, paginazione, indice, note e marchio editoriale) che segna il distacco dall’incunabolo, libro a stampa quattrocentesco: opere, perlopiù, di carattere religioso e meditativo su temi filosofici, quindi sull’uomo e la natura, sul rapporto tra trascendente e realtà. Un tesoro di immenso valore, considerata la rilevanza della cultura e della civiltà cattolica nel nostro paese, per questo, allora, anche radice di tanta storia forlivese.

Pagine e pagine, scritte e illustrate, finite più o meno nel fango, come testimonia sino al prossimo 21 novembre, appunto presso il Seminario Vescovile di Forlì in via Lunga 47, la mostra “Sommersi salvati. Libri liberati dal fango”, efficacemente coordinata da Sauro Turroni con i significativi scatti di Silvia Camporesi, quest’ultimi, non esagero, sicuramente nel segno della migliore tradizione del reportage fotografico, capace di narrare agli occhi altrui le vicende umane. Bravi!

In quest’abilità si ripone il successo di pubblico della mostra che richiama una celeberrima opera di Primo Levi, “I sommersi e i salvati”, ed. Einaudi, 1986, per raccontare la diversa storia di libri sommersi o salvati dall’alluvione del trascorso 16 maggio. Stamani, ho partecipato ad una visita guidata di tale evento espositivo, non nascondo di essere rimasto molto colpito, anche con un insorgente nodo alla gola: quindicenne, ho conosciuto il dramma dell’alluvione fiorentina; adesso, da tempo forlivese d’adozione, ho rivissuto quella paura; ancora di più, dinanzi alla rovina di tanta memoria culturale, custodita dal Seminario Vescovile di Forlì, mi sono sentito messo all’angolo delle mie responsabilità di uomo e cittadino sotto la gragnola di pugni del mondo, della natura, senza sosta violati da continuo scempio.

“A questo siamo arrivati! Potevamo evitarlo?” Di questo genere le considerazioni, le domande, suggerite dalla mostra nell’evidenza, ormai, clamorosa dove conduca l’insipienza umana nel prevenire e gestire i cambiamenti climatici, nel contenere il saccheggio di suolo dei nostri territori. “Dobbiamo fare qualcosa, prima che sia impossibile ogni rimedio” suggerisce la foto della catasta fangosa di libri o quella di una donna, assieme ad un uomo intenta con tanta premurosa attenzione attorno ad un grosso volume melmoso.
Tuttavia, spunta, per fortuna, un motivo concreto di speranza dalla teca protettiva di alcuni libri, già salvi, pur solo con un parziale intervento di recupero: in fondo, il fango devastatore dell’alluvione è solo metafora del fango indifferente e pressapochista, politico, morale ed umano, sempre più dimentico dei valori dell’uomo e della natura per perseguire, invece, interessi di bottega, smodato sfruttamento delle risorse, finalità di protagonismo e potere, personale o di gruppo.

Gli amministratori, tutti i politici forlivesi vadano a vedere questa mostra, ma ci vadano soprattutto “privatamente” col cuore e la mente di comuni cittadini: non aggiungo altro perché non voglio infierire, seppur sollecitato dalla sconfortante realtà politica locale che, da destra a sinistra, ha solo buttato in rissa o, nel migliore dei casi, in baruffa tra comari la gestione del post alluvione. La mostra “Sommersi salvati. Libri liberati dal fango” al Seminario Vescovile di Forlì rappresenta un duplice, tagliente monito a tutta la politica, a chiunque, in sostanza, abbia potere decisionale: da una parte, l’ammonimento a fare presto qualcosa per evitare un possibile peggio, prossimo futuro; dall’altra, il richiamo della propria distanza, sempre più incolmabile, rispetto al paese reale, quello dei volontari soccorritori, uomini e donne, di tutte le età, anche migranti da terre lontane, che non hanno esitato ad affondare il loro cuore nel fango per trarlo fuori, più lindo che mai, magari con un libro melmoso, stretto nelle mani.

Ed in questo paese reale, spesso dimenticato, se non tradito dalle istituzioni, pongo pure i buoni servitori dello stato, attivi nella Polizia di Stato, nei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, nella nostra stessa Polizia Locale e, infine, anch’essi “usi obbedir tacendo”, nel Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale: tutti accorsi a salvare il salvabile della biblioteca del nostro Seminario Vescovile.
La mostra, assurdo che paia, incita disperatamente ad uno scatto di reni perché siamo sì forlivesi feriti, ma ancora con tanta voglia di vita; siamo sì italiani colpiti, ma ancora tanto indisposti a rassegnarci; ma, soprattutto, siamo uomini e donne, ostinati coi nostri figli e nipoti, quanti i bambini stamani alla visita guidata, a fuggire dal rischio di finire in una triste, tragica contabilità umana di sommersi e salvati.
La storia lo insegna: se, prima, si lasciano bruciare o affogare nel fango i libri, nulla, dopo, esclude che si lascino bruciare o affogare gli uomini.

Franco D’Emilio

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