Tanto fumo nella cena dei sindaci a Galeata

cena dei sindaci

Tanto fumo e poco arrosto, come dire solo fuffa o, più terra terra, molto bla bla bla: così, in sostanza potremmo definire l’iniziativa, davvero pretenziosa e contradditoria, della “Cena dei Sindaci” che domani, venerdì 6 ottobre alle ore 19,00 inaugura a Pianetto nel Comune di Galeata la tre giorni del Festival del Recupero.

Dunque, si parte con una bella tavolata all’Osteria La Campanara, ambizioso ombelico del mondo galeatese, per l’ennesima volta, ormai siamo allo sfinimento, luogo di iniziative gastronomico-mangerecce, quasi godesse di un’esclusiva, non si sa se per favori in alto loco, terreni o celesti, o per reale valore della sua cucina, rigorosamente del riuso.

I sindaci partecipanti sono tre, quelli di Civitella, Galeata e Santa Sofia, due uomini e una donna: peccato non ci sia un quarto, almeno avremmo avuto una riedizione dello storico quartetto Cetra in salsa di riuso o recupero, più per peccati di gola che per abilità canora. Poi, anch’essi a tavola, Tonino Bernabè e Piero Lungherini, il primo presidente di Romagna Acque, il secondo responsabile del servizio promozione e educazione ambientale della stessa azienda.

Certo, poteva estendersi la partecipazione ad altri sindaci del territorio forlivese, sia della piana che della zona pedemontana, ugualmente colpiti dall’alluvione; certo, senza nulla togliere alla caratura rappresentativa dei due dirigenti di Romagna Acque sul tema della cura del patrimonio idrico, sarebbe stato più opportuno non annoverarli come ospiti di particolare rilievo poiché, così come è andata l’alluvione e va il post alluvione, la loro presenza, mi sia consentita la battuta, pare contrassegnare una “Cena dei Sindaci ancora con l’acqua alla gola”, seduta accanto.

Sicuramente, la cena di domani sera dovrebbe svolgersi nello spirito dei temi del Festival del Recupero ovvero “Consapevolezza, Cucina Circolare, Acqua, Territorio”, soprattutto applicando appieno i precetti della cosiddetta “cucina circolare”: uso integrale di materie prime; utilizzo completo di ogni prodotto, quindi anche i tagli di carne meno nobili e, per quanto riguarda le verdure, perché no, addirittura i gambi, le foglie e i torsoli, ormai il minimo in un mondo di capre, come ostinatamente denuncia Vittorio Sgarbi; eppoi, qui il tocco geniale degli chef del riuso, il recupero di quanto si cucina, ma spesso non viene mangiato.

A casa mia, come in tante famiglie, non si butta mai nulla, se resta del cibo, se ne fa tesoro ed è moralmente, umanamente, direi pure civicamente giusto che sia così; non capisco, invece, perché mai dovrei andare al ristorante, cercando qualche specialità del territorio, e vedermi, contro ogni mia aspettativa, proporre il riutilizzo di piatti cucinati, ma non consumati, magari perché fuori dai gusti di precedenti avventori.

Forse, sarebbe allora opportuno distinguere, scritto anche nell’insegna esterna dei locali, tra ristoranti o trattorie od osterie della tradizione e ristoranti o trattorie od osterie del riuso: così, capitando magari in quel di Galeata e leggendo, già fuori, “osteria del riuso”, sarei davvero informato di cosa mi attenda e se valga o no la pena suonare a quella campana. Cucina circolare? Questa definizione bizzarra mi fa solo girare la testa, forse è la fame, meglio sedersi a tavola e gustare il menu della Cena dei Sindaci, domani sera in programma a Pianetto di Galeata.

Scorro la lista e subito mi si accappona la pelle, mi pizzica e mi si affila la lingua sull’esordio di un “Paté di colombaccio con gelato alla cipolla all’acqua di Santarcangelo di Romagna”, incauto e contradditorio invito alla caccia da parte di chi col Festival del Recupero sostiene il rispetto del territorio.
Segue l’illusorio riscatto sul tema del riuso di una frugale “acquacotta della Romagna toscana”, subito, però, appresso stroncata da uno snob “Risotto con trota del Bidente, riduzione di melagrana e polvere di capperi di Salina”, piatto che mi colpisce sia per il suo pericolo gastroenterico, considerato lo stato di fogna di lunghi tratti del fiume bidentino per il frequente versamento di liquami, sia per la parsimonia, anzi il “braccino corto” dello chef nello spandere solo in polvere il sapore di famosi capperi siciliani: povero Gattopardo, principe di Salina!

Si continua con “Bocconcini di bovina romagnola glassata al Sangiovese su crema di topinambur e zucca gialla candita”: un consiglio, occhio al tocco esotico del topinambur, in soggetti sensibili l’inulina, il particolare carboidrato contenutovi, può causare fuoriuscita d’aria, più o meno orchestrata, oppure una precipitosa corsa al bagno, due circostanze fuori da ogni riuso. Chiude la rivisitazione, forse la scimmiottatura di un iconico dolce della tradizione francese: “Tarte tatin con pere angelica e gelato ricotta, limone e cannella”.

Tutto innaffiato, prosit, da vini della Romagna alluvionata, almeno un sussulto di orgoglio territoriale! Dunque, non resta che pagare 40 euro per un menu di prelibatezze in assaggino, giusto una requie al languore dell’appetito. Quanto fumo negli occhi, quanta fuffa, quanta inconsistente grandeur provincialotta e paesana in questo menu del Festival del Recupero all’Osteria La Campanara di Pianetto di Galeata.
Perché non mangiare così come parliamo, senza fronzoli e mezzucci acchiappacitrulli?

Franco D’Emilio

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