La poesia immortale di Giovanni Pascoli (“La tovaglia” dai Canti di Castel Vecchio) ricorda una usanza antica, quella di tenere apparecchiata la tavola domestica nella notte tra il 1° e il 2 novembre perchè i morti tornavano a mangiare. Pascoli introduce il racconto con un attacco che oggi diremmo pulp (“Bada, che vengono i morti! i tristi, i pallidi morti! Entrano, ansimano muti”) per poi lasciare il campo ai sentimenti e a un rapporto generazionale che il suo mondo ancora contadino aveva con chi non c’è più: emozionare i bambini, rincuorare gli adulti, preparare i vecchi.
Per accompagnare la poesia, che si può leggere a seguire, propongo (come fanno i sommelier) un quadro dell’ottimo pittore, vivente, Silvano D’Ambrosio.
Pascoli e D’Ambrosio. Una tovaglia e una tavola che attende, in una casa diroccata. C’è attesa, forse rimpianto, anche nostalgia per un luogo che non è più mentre, all’orizzonte, si staglia una terra nuova in cui scorre la vita.
Che bello sarebbe ritrovarsi a tavola con chi non possiamo più incontrare. Che bello sarebbe stare a tavola, tutti insieme, al posto di ammazzarsi.
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LA TOVAGLIA
(dai Canti di Castelvecchio)
Le dicevano: ― Bambina!
che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l’hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch’è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
i tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte attorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta.
È già grande la bambina;
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d’allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d’acqua, di neve,
lascia ch’entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
― Pane, sì… pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?… È tela, a dama:
ce n’era tanta: ricordi?…
Queste?… Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! ―
Mario Proli