A tavola

quadro di Silvano D'Ambrosio

La poesia immortale di Giovanni Pascoli (“La tovaglia” dai Canti di Castel Vecchio) ricorda una usanza antica, quella di tenere apparecchiata la tavola domestica nella notte tra il 1° e il 2 novembre perchè i morti tornavano a mangiare. Pascoli introduce il racconto con un attacco che oggi diremmo pulp (“Bada, che vengono i morti! i tristi, i pallidi morti! Entrano, ansimano muti”) per poi lasciare il campo ai sentimenti e a un rapporto generazionale che il suo mondo ancora contadino aveva con chi non c’è più: emozionare i bambini, rincuorare gli adulti, preparare i vecchi.

Per accompagnare la poesia, che si può leggere a seguire, propongo (come fanno i sommelier) un quadro dell’ottimo pittore, vivente, Silvano D’Ambrosio.
Pascoli e D’Ambrosio. Una tovaglia e una tavola che attende, in una casa diroccata. C’è attesa, forse rimpianto, anche nostalgia per un luogo che non è più mentre, all’orizzonte, si staglia una terra nuova in cui scorre la vita.
Che bello sarebbe ritrovarsi a tavola con chi non possiamo più incontrare. Che bello sarebbe stare a tavola, tutti insieme, al posto di ammazzarsi.

***
LA TOVAGLIA
(dai Canti di Castelvecchio)
Le dicevano: ― Bambina!
che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l’hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch’è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
i tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte attorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta.
È già grande la bambina;
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d’allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d’acqua, di neve,
lascia ch’entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
― Pane, sì… pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?… È tela, a dama:
ce n’era tanta: ricordi?…
Queste?… Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! ―

Mario Proli

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