Inevitabile e giusto che tanto viva sia la partecipazione collettiva e altrettanto acceso sia il dibattito attorno alla terribile uccisione di Giulia Cecchettin: sentiamo forte l’urgente necessità, ormai inderogabile, di fare concretamente quadrato contro la barbara violenza sulle donne e, al tempo stesso, vogliamo capire perché questo accada, quale sia la radice insana del suo movente. Stamani, alle ore 11,00, avrei voluto disporre dell’attributo dell’onnipresenza in tutte le scuole e università italiane per fissare il mio sguardo negli occhi di tutti i giovani che per un lungo minuto in memoria di Giulia, muti, non una voce, un grido, un urlo, spesso con i loro insegnati, hanno agitato un mazzo di chiavi o applaudito, battendo i piedi, oppure picchiato ripetutamente con una mano o un pugno sul piano del proprio banco.
Mai fu più vero ed efficace l’ossimoro del silenzio assordante; vano, così, il tentativo maldestro e, sotto certi aspetti, in mala fede di taluni oppositori, solo “saputelli criticoni” a prescindere, che gli studenti abbiamo protestato contro il governo Meloni ed il ministro all’istruzione, Giuseppe Valditara, trasgredendo al minuto di silenzio, disposto stamattina nel ricordo della cara Giulia. Stamani, i nostri giovani hanno inteso dare rumore al silenzio partecipativo del loro dolore, ma pure fare chiasso sul silenzio recalcitrante e pregiudizievole, omertoso e spesso complice o, addirittura, riduttivo che pervade tanta società e politica sull’emergenza della violenza alle donne.
In ogni video disponibile in rete, davvero tanti ne ho visti, mi sono sentito padre di quei ragazzi muti, agitanti un mazzo di chiavi e tutti presi dal valore del momento, molti col pianto della commozione: allora tre pensieri mi sono sovvenuti in mente. Innanzitutto, Papa Giovanni XXIII, l’indimenticabile Angelo Roncalli, che anche stamani, a lungo avrebbe fissato e letto l’animo dei nostri ragazzi, lui che con tanta voce di speranza non aveva esitato a dire “Ho messo i miei occhi nei vostri occhi” nel discorso ai detenuti nella sua visita del 26 dicembre 1958 al carcere romano di Regina Coeli: pure i giovani d’oggi, ancora di più le donne, sono incarcerati da un mondo incerto, spesso ostile e violento che attraversa la crisi della famiglia, le difficoltà formative ed educative della scuola, la precarietà del lavoro e, soprattutto, l’inganno maligno di taluna comunicazione “social”.
Poi, quelle chiavi, agitate a mezz’aria dagli studenti, mi sono sembrate duplici strumenti, solitamente per aprire le tante porte, quotidiane e straordinarie, della vita, ma poi, quella più segreta, intima dell’amore: quest’ultima per Giulia è stata fatale, dischiudendole la porta del baratro sul male, la ferocia di un amore falso. Infine, l’ultimo mio pensiero è stato sulla facile generalizzazione e su tanta saccente sociologia di facile accatto, emerse da taluni sinistri ambienti con lo sproloquio a vanvera, subito pappagallescamente epidemico, sugli effetti del patriarcato, della cultura dello stupro e del molesto catcalling ovvero il comportamento sessista degli uomini verso le donne.
Eppure, vedo, ripercorro la mia famiglia e quella di tanti amici, pure molto più giovani di me; frequento famiglie, da nord a sud, sane, forti nei valori; conosco e stimo da anni due solide unioni omosessuali: tutte con figli maschi, nessuno dei quali, però, manifesto o sospettabile interprete del malefico patriarcato oppure del culto dello stupro oppure, ancora, del catcalling. La stragrande maggioranza dei giovani italiani è forte, sana, ma ha un problema: non fa notizia, non sta nelle attenzioni della politica, non è persuasiva come taluni imbecilli influencer, insomma non ha ascolto, nonostante studi, lavori, cerchi l’amore e, a sua volta, metta su casa, famiglia.
Adesso, invece, vediamo tanta sociologia spiccia di facile accatto, quasi in soccorso di Filippo Turetta: assassino, sì, con premeditazione e ferocia di Giulia, ma, attenzione bene, secondo tanti novelli sociologi mostro in conseguenza dell’attuale nefasta società italiana ancora patriarcale, incline ad assecondare nel maschio ogni peggiore istinto di sopraffazione sulla donna. Certo, abbiamo tanto da correggere o innovare nell’educazione dei ragazzi per garantire la giusta relazione di rispetto e parità tra i due sessi, ma la via non è sicuramente quella di confondere il bene di tanti giovani italiani, donne e uomini, con il male di poche anime, fragili e scellerate.
Franco D’Emilio