Alla fine non tutto il male viene per nuocere, ci voleva il disastro alluvionale della scorsa primavera con la rovina di buona parte del patrimonio archivistico comunale e di quello del seminario vescovile perché a Forlì ci convincessimo dell’opportunità di creare un grande, unico polo della documentazione storica del nostro territorio.
Opportunità che s’impone già da anni per due motivi: innanzitutto, per l’indirizzo, sempre più attuale, dell’archiveconomia di configurare in un unico corpus tutte le fonti documentarie, relative alla storia, allo sviluppo di un ambito territoriale; poi, per il fatto che la creazione di un polo archivistico complessivo garantirebbe da quella corrente disparità di conservazione, oggi esistente tra archivi statali, quelli comunali, infine quelli ecclesiastici, che, frutto anche di tanta grossolana e insipiente amministrazione, abbiamo visto emergere proprio dalla rovinosa alluvione.
Tuttavia, non piangiamo ancora sul latte versato, ma, desiderosi di risorgere, plaudiamo al recupero del vecchio progetto di restauro dell’ex monastero in via della Ripa a Forlì per la finalità culturale di collocarvi tutto o gran parte del patrimonio archivistico forlivese. Si riparte, dunque, da un progetto di restauro edilizio, già avviato, ormai, molti anni addietro, poi abbandonato e, ora, riproposto con l’onere di recuperare quanto perso del precedente, parziale risanamento: che dire, se non evidenziare l’ennesimo esempio e, forse, scempio di tanta malaccorta amministrazione pubblica? Però, se anche dal fango alluvionale può risorgere un’araba fenice, simbolo di quella rinnovata resilienza, adesso tanto decantata sino alla nausea, beh, allora, benvenuto il tavolo romano di intenti tra il Ministero della cultura, il Comune di Forlì ed altro soggetti, coinvolti per la creazione del polo archivistico nel recuperando ex monastero forlivese.
Certo, adesso si tratta, ovviamente, di un sogno che per divenire realtà richiederà soprattutto continuità di finanziamenti, utili a non dilazionare nel tempo il compimento dell’opera, poi particolari specifiche progettuali, infine pure la definizione del progetto culturale, comprensivo ed espressivo di ogni relazione tra patrimonio archivistico e quello artistico, architettonico, librario del territorio forlivese. Il neo progetto di un grande polo archivistico a Forlì è davvero splendido, per questo va sostenuto con accortezza e, consentitemi, saggezza operativa, diversamente si rischia di rimanere agli annunci, alle passerelle con l’occhiolino strizzato alle prossime elezioni amministrative ed europee.
Un significativo, complessivo centro storico-documentario forlivese deve perseguire due obiettivi, uno intrinseco ed uno estrinseco: il primo è quello schiettamente culturale di agevolare ogni possibile correlazione tra fonti archivistiche statali, comunali e di altra natura, contribuendo, così, ad una maggiore conoscenza storica, dunque ad una più vasta cultura cittadina; il secondo è quello di contenere una relativa spesa pubblica d’esercizio, promuovere una comune formazione del personale addetto, a prescindere dall’ente di appartenenza, e, soprattutto, una partecipazione più coinvolgente, sinergica del mondo archivistico alle iniziative culturali, espositive e non, dell’ambito forlivese.
Con queste considerazioni penso quanto il polo archivistico gioverebbe allo studio, alla valorizzazione del ‘900 forlivese, pure eliminando certo frazionismo operativo e certe pregiudiziali ideologiche, politiche, ora presenti, ad esempio, in taluna gestione, quasi monopolistica, della Resistenza e dell’antifascismo. Il polo culturale archivistico è, perché no, un’occasione preziosa di approfondimento, di libero confronto.
Certo, dopo 38 anni trascorsi nell’amministrazione del Ministero della cultura e dopo la vicenda di altri recuperi nella nostra provincia, solo annunciati da amministratori parolai e tuttora vergognosamente al palo, magari persino con beghe giudiziarie, sono cauto in facili entusiasmi sulla realizzazione dell’auspicato e, ripeto, meraviglioso polo archivistico: per scaramanzia meglio incrociare le dita e non dire gatto prima ancora di averlo nel sacco.
Franco D’Emilio