Democristianeria è il neologismo, la parola nuova, negli ultimi tempi sempre più ricorrente nei capannelli di parlamentari, giornalisti e lobbisti nel Transatlantico, il grande salone in stile liberty al primo piano della Camera dei Deputati. La democristianeria è oggi solo il misero surrogato della vera democristianità ovvero la scelta, l’appartenenza, la militanza a sostegno della gloriosa, ormai trascorsa Democrazia Cristiana; è soltanto la scimmiottatura maldestra, ma ancora di tanto tornaconto politico, della tattica e del costume politico democristiani; è, insomma e soprattutto, l’ostinata, pure spudorata pretesa di far pesare, in termini elettorali e di conseguente potere politico, quel superstite retaggio democristiano e quel credito, ancora suggestivo, del voto cattolico, per lungo tempo ispirati alla moderazione politica per criteri di convenienza od opportunità.
La Democrazia Cristiana è morta e sepolta dal 1994, né voglio tornare sulle ragioni storiche di questa estinzione politica a seguito della rottura di vecchi equilibri politici, nazionali e internazionali, però non posso sottrarmi alla critica, appunto, della rozza, odierna democristianeria, ormai da decenni sostenuta dagli ultimi epigoni o dai patetici rianimatori di una DC, giustamente consegnata alla storia: di mezzo, anch’essa da molto tempo, la disputa da mercanti del tempio sulle spoglie democristiane, sullo stesso patrimonio materiale e immateriale del trascorso partito. Quindi, un interessato nostalgismo DC sospinge e coagula il voto moderato, pure in modo trasversale, da destra a sinistra, arbitro tra centrodestra e centrosinistra, però con una disinvoltura sorprendente e, spesso, spregiudicata rispetto all’equilibrio col quale la vecchia DC sapeva comporre e gestire le sue diverse correnti interne, contrapposte.
La democristianeria animerà le prossime elezioni europee e amministrative, intanto i partiti di destra e sinistra strizzano l’occhio al voto moderato centrista, ben sapendo come proprio questo voto sarà risolutivo di un confronto tra destra e sinistra, spesso sul filo di lana. Per questo non è un caso che a Forlì il sindaco uscente di centrodestra, Gian Luca Zattini, si ricandidi anche con un’intervista di manifesta nostalgia per la DC, suo remoto partito di militanza; non è un caso che il centrosinistra forlivese, questa volta unito, punti sulla candidatura di Graziano Rinaldini, “compagno”, sì, ma appena con un filo di gas perché, principalmente, dirigente cooperativo di successo che, guarda caso, non manca di ingraziarsi la simpatia e il voto dei cattolici con la citazione di un passo, tratto da una lettera di San Paolo ai romani.
A Forlì e altrove il voto dell’attuale, parodistica democristianeria si rivelerà davvero decisivo, questo spiega “i lavori in corso”, sia a destra che a sinistra, per trattare, comprare tale consenso elettorale. Soprattutto, fa pensare quanto questa democristianeria possa pure indurre un certo trasformismo politico: magari, un Fratelli d’Italia sempre più “bianco fiore”, come un tempo la DC; magari, un Partito Democratico sempre più in rosa, stemperando l’antico rosso della vecchia bandiera.
Franco D’Emilio