Perché ignoro il Presidente Mattarella

presidente sergio mattarella

Dico e scrivo sempre quel che penso, diversamente sarei lingua e penna senza cervello, il mio, dunque risulterei tristemente opportunista o conformista. Ancora, sono manicheo, vedo e distinguo solo il bianco dal nero, il bene dal male: nel primo caso per far chiarezza, nel secondo per avvicinarsi alla speranza di un paradiso, sia terreno che ultraterreno; non credo, inoltre, al riscatto nella terra di mezzo di qualunque purgatorio e non mi ha mai convinto la locuzione che la virtù stia nel mezzo, in medio stat virtus, non fosse altro per l’etimologia del termine mediocrità proprio dal latino medius. Detesto, infine, il grigio e il grigiore delle persone, delle situazioni ferme a metà del guado, né di qua ne di là, così con l’effetto soltanto di un persistente alone sul colletto della camicia, neppure troppo candida.

In questo humus le radici della mia insofferenza nei confronti di Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica: non lo sopporto, già alla sua vista incrocio le dita, nemmeno vedessi chissà mai quale menagramo. Quale inquilino quirinalizio è celebrato come presidente di tutti gli italiani, ma io con altri dubito di questo assunto dogmatico, che, gioco forza, vorrebbe intrupparmi, perché assolutamente per niente mi sento o ci tengo ad essere suo rappresentato. Sì, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal 2015 ad oggi, è stato eletto a due mandati da un’ampia maggioranza che, però, alla resa dei conti, nella realtà politica italiana non si è affatto dimostrata estensibile a tutti i cittadini per la capacità di saperne interpretare comuni attese: la stessa cosa del predecessore Giorgio Napolitano, anch’egli Presidente della Repubblica dal 2006 al 2015, quindi sempre per due mandati, ma in carica solo per nove anni, quasi gli stessi di Mattarella al momento attuale.

Ebbene, manca poco al Ventennio presidenzialista di questi due Presidenti della Repubblica, parimenti inclini alla stessa missione: Napolitano sollecitò la caduta del governo di centrodestra di Berlusconi nel 2011, gestendo la successiva alternanza di ben tre governi di centrosinistra ed uno tecnico, rispettivamente affidati a Prodi, Monti, Letta e Renzi; Mattarella, allo stesso modo, ha assecondato la sopravvivenza del centrosinistra al governo con i gabinetti Renzi, Gentiloni, Conte e quello tecnico a guida Draghi, prima di arrendersi al responso delle urne a favore della destra, dunque all’inevitabilità del governo Meloni. Entrambi i nostri due ultimi Presidenti della Repubblica si sono così posti ripetutamente fuori dall’imparzialità, contrassegno della massima carica dello Stato, per la loro marcata contrarietà ad ogni legittimo, fondato, pure anticipato ricorso alle urne che potesse nuocere alla sinistra.

Questo il filo che percorre il Ventennio presidenzialista di Napolitano e Mattarella: da una parte, il trasformista nero-rosso, prima fascista poi comunista, sempre nella comodità di esclusive scarpe inglesi ai piedi; dall’altra, il curiale democristiano, seminatore della saggezza di scontate ovvietà, sempre sollevando ogni tanto lo sguardo sull’uditorio per “vedere l’effetto che fa”, come canta Enzo Jannacci nella sua Vengo anch’io, no tu no”. Ora, Mattarella si trova, obtorto collo, ad avere a che fare con Giorgia Meloni e il suo governo di destra: resisterà sino all’ultimo nella ridotta del suo secondo mandato a scadenza 2029 o si convincerà dell’opportunità di levare il disturbo? L’attesa di questa rinuncia è viva e ampia, sicuramente superiore alla schiera dei pretoriani della sinistra, stretti attorno a Mattarella, alfiere della loro nostalgica, perdente, divisiva faziosità antifascista e resistenziale.

Ignoro il Presidente Mattarella per non sentire il peso di sopportarlo. Lo ignoro perché sempre protagonista di circostanza e parziale al Quirinale, mai giusto interprete universale delle aspettative politiche di tutti gli italiani: padre di alcuni, patrigno di altri, così deve aggiornarsi la paternalistica retorica della Presidenza Mattarella, in continuità con quella di Napolitano verso il compimento di un Ventennio veramente grigio e opaco.

Franco D’Emilio

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