Tra il Papa e piazza della Loggia

Papa Francesco

In un incontro riservato con buona parte della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), Papa Francesco ha rivolto un appello ai vescovi perché nei seminari si sia cauti, pure sino all’esclusione, verso l’ammissione di seminaristi omosessuali: questo al fine di prevenire ulteriore “frociaggine”, tale il termine volgare sulla bocca del Pontefice, come, fra l’altro, hanno riferito numerosi giornali, compreso Avvenire, quotidiano della stessa CEI.

È nata inevitabile una polemica e, alla fine, Bergoglio si è visto costretto a chiedere scusa dell’uso di un vocabolo, tanto chiaramente omofobo. Tuttavia, qualche premuroso portavoce vaticano si è precipitato pateticamente a dichiarare come Papa Francesco non abbia piena padronanza della lingua italiana, quindi, senza volerlo, in modo fuori luogo possa aver usato la pesante parola “frociaggine”: tale giustificazione, anche considerando come, invece, la chiesa bergogliana abbia sempre aperto le braccia in accoglienza degli omosessuali, compresi i sacerdoti tali, conciliando questo con l’esortazione evangelica (Mc 10,13-16) “Lasciate che i bambini vengano a me”.

Dunque, alla resa dei conti, il Papa della Chiesa Una, Santa, Apostolica, Romana, Vicario di Dio in terra, ha parlato a vanvera? Sono convinto che il Pontefice abbia detto “frociaggine”, ben consapevole del colorito contenuto, valore semantico della parola. Certo, alla fine, le scuse, le giustificazioni vaticane hanno solo confermato come la toppa sia stata peggio del buco, fra l’altro, seppur in senso lato, ripeto lato, rivelando platealmente ai fedeli un’inaspettata fallibilità, palesemente contro la dogmatica infallibilità papale, proclamata nel Concilio Vaticano I del 1870 da Pio IX, su pressione dei gesuiti, guarda caso lo stesso, potente ordine religioso di appartenenza dell’incauto Papa Francesco.

Tutto questo mi fa sorridere tanto amaramente: proprio vero, non c’è più religione! Ieri, in piazza della Loggia a Brescia un giornalista del Tg3-Rai ha intervistato un autorevole testimone della strage neofascista, occorsa in quel luogo ben cinquant’anni fa. L’intervistato, chiaramente farcito, oltre misura, di retorica antifascista, ha innanzitutto ricordato quella terribile strage come un attacco alla nostra democrazia, sorta dalla Resistenza; poi, alla domanda cosa sia accaduto da allora, facendo rassegnate spallucce, si è visto costretto a riconoscere che “Tutto si è capovolto e noi ci abbiamo messo del nostro”, dove quel noi sono indubbiamente proprio i compagni della sinistra, finiti sottosopra, travolti dalla storia loro e, ancora di più, da quella molto più importante, complessiva del nostro paese.

Ieri, le parole di quel testimone della strage nella città “Leonessa d’Italia” mi sono parse un de profundis dell’antifascismo resistenziale, finito nel trita documenti di una puntata straordinaria di Affari Tuoi, appunto i loro, quelli della sinistra in ritardo con la storia, soprattutto con un futuro concorde della nazione.

Franco D’Emilio

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