Trascorsa la buriana dei risultati elettorali, mi ha incuriosito sapere come fosse andata nei seggi forlivesi, collocati nelle zone cittadine alluvionate. Questo, considerando che il candidato sindaco della sinistra, Graziano Rinaldini, clamorosamente battuto al primo turno, ha impostato la sua campagna per il voto prevalentemente sui ritardi dei rimborsi, sulle difficoltà tecniche del deflusso fognario delle acque, insomma su ogni conseguenza post alluvionale che, a torto o a ragione, potesse servire a porre sotto accusa il sindaco uscente di centrodestra Gian Luca Zattini, oggi riconfermato.
La mia sorpresa constatare che il buon Zattini ha vinto pure nei seggi delle aree alluvionate, dunque Rinaldini, invano, ha menato il can per l’aia contro l’avversario, confidando nel fertile terreno della protesta popolare e raccogliendo, invece, solo modesti frutti della sua maldicenza. Rinaldini masaniello dello scontento del dopo alluvione, delle fogne intasate, seppur provatamente libere, della demagogica accusa a Zattini di sputtanare danaro pubblico per futili iniziative, dimentico così di chi finito rovinosamente sott’acqua.
Tutta la campagna elettorale del candidato della sinistra impostata prevalentemente su questa linea sciacallesca, quindi con grande impegno di propaganda, addirittura col passaggio di casa in casa, un po’ come quando, per fortuna ormai, tanti anni addietro, la domenica mattina i galoppini del PCI suonavano alla porta e al sonno altrui per vendere le menzogne di partito dell’Unità. Per questo, lo scontro tra i due candidati sindaci è stato pesante, eppure Zattini ha vinto senza equivoci, soprattutto col merito di un programma elettorale su tanto e tutto, relativo al futuro di Forlì, a differenza del poco e nulla di Rinaldini.
Il candidato sindaco della sinistra è stato umanamente scorretto, incauto, pure intollerante col ricorso a tanta falsità; politicamente, poi, si è illuso del suo inconsistente protagonismo, del suo ego, della sua astuzia di imprenditore cooperativo rosso sulla pelle di lavoratori con stipendi da fame, tradendo miseramente le aspettative della città, la fiducia della parte più responsabile del suo partito. Rinaldini ha corso solo per se stesso alla faccia dei forlivesi, compagni e no; si è impegnato per diventare sindaco di una comunità, prona ai suoi piedi, chiudendo cosi il cerchio della sua fedele, perché interessata e ampiamente ricompensata, esistenza di abile servitore del partito.
Questa sua libertà d’azione, inevitabilmente, pone un allarmante interrogativo: la nuova classe dirigente del Partito Democratico forlivese è stata così innovativa e lungimirante da lasciar campo libero a tanto candidato mistificatore? Forse, l’una degna dell’altro ovvero, anche in politica, Dio li fa e poi li accoppia? Certo, il PD forlivese ce l’ha messa tutta per screditare Zattini e riportare Forlì sotto il suo potere ottuso e divisivo, ma è andata male, ora deve ripartire da zero con una condotta politica nuova che ancora non possiede, come sempre accade quando vanamente si rincorrono lucciole, credendole fari di intelligenza, e, sempre in mancanza di meglio, si lascia campo libero alla sopravvalutata figura di qualche corsaro comunista al sole.
Franco D’Emilio