Quel semolino lento del vicesindaco Bongiorno

Vincenzo Bongiorno

Per la cultura forlivese l’esordio non è dei migliori, anzi fa presagire tanto nuovo vuoto pneumatico di idee e proposte, mi riferisco alla recente intervista, rilasciata ad un quotidiano locale dal neo vicesindaco Vincenzo Bongiorno, pure con delega, ahimè, alla cultura. Dopo l’effimero, perché no volatile assessorato alla cultura nelle mani padronali di Valerio Melandri confidavo nel cambiamento, perlomeno in alcuni suoi possibili segni premonitori o, ancora meglio, in qualche suo chiaro proposito. Invece, niente, stesso passo stanco, claudicante tra la banalità, spacciata per innovazione, e la riconferma di certo sensazionalismo, a cui ricorrere per supplire all’incapacità di manifestare originalità propositiva. Solo tanta vaghezza in questa intervista del nostro vicesindaco che non solo si barcamena, malamente e a stento, circa le prospettive della cultura forlivese, ma, addirittura, tace sul tema quale sia, ammesso che ne disponga, la sua idea configurativa di un progetto culturale complessivo della città di Forlì.

A memoria storica è la spada che difende il solco, ma nel suo piccolo Vincenzo Bongiorno sui temi della cultura si rivela soltanto un’esile lametta da barba a difesa del minimo, infecondo solco culturale, tracciato dall’aratro sbreccato del suo predecessore: nessuna cesura, nessun taglio rispetto al passato, anzi continua il tirare a campare dell’ex assessore Melandri, quasi quest’ultimo, nel frattempo, fosse stato tanto abile, sulle orme di Fregoli e Brachetti, a trasformarsi nelle sembianze di Bongiorno.
“Ha fatto tanto bene, innovando”, così Bongiorno, riferendosi al predecessore Melandri, per cui resta solo la speranza che il nostro neo assessore alla cultura abbia, ora, un temporaneo calo della vista, della propria visione politica, quindi si trovi, al momento, costretto a restare sulla vecchia, infruttuosa via melandriana per l’impossibilità di scorgerne una propria, sgombra di fuffa. Eppure, tante cose non tornano, troppe!

Se, ad esempio, il numero dei visitatori di Palazzo Romagnoli è modesto, se taluni progetti museali non decollano o stentano, se i servizi bibliotecari e archivistici sono discutibili, ridotti, se non mediocri, non sarà, allora, forse opportuno che il vicesindaco, assessore alla cultura, s’interroghi magari sull’inadeguatezza dell’attuale politica culturale cittadina? Siamo davvero convinti che non si debba cambiare o, almeno, correggere il piano, quindi il contesto di collocazione, operatività e gestione del patrimonio culturale cittadino?

Certo, ciccia al fuoco Vincenzo Bongiorno ne mette tanta, cito solo i bocconi più succulenti, perché, sinora, di facili, vane promesse: il Museo Baldini del Ciclismo, l’utilizzo di Palazzo Albertini, il Museo del Volo, Casa Saffi. Però, neppure un cenno sulle priorità, l’opportunità e la fattibilità di questi interventi; neanche una parola definitiva sui destini riorganizzativi e gestionali della biblioteca civica, sulla sicurezza di tempi certi del recupero dell’ex Asilo Santarelli ai servizi culturali comunali; nemmeno un proposito sulla migliore integrazione tra i patrimoni, le attività culturali del Comune di Forlì e quelli della nostra sede dell’Università di Bologna: Forlì è città universitaria, ma non ne manifesta affatto la vivacità, il fermento, il peso e la sinergia sulla vita locale, soprattutto delle nuove generazioni.

Eppoi, quella fissa del “miglio bianco”, pot-pourri di diversi stili architettonici, nulla di particolarmente unico ed eccelso, che adesso il vicesindaco Bongiorno eleva addirittura a brand turistico della città di Forlì. Ma se per brand giustamente si intendono i contenuti, le modalità, i segni e i simboli che contraddistinguono l’identità particolare di un’impresa, anche di una città da altre realtà, come si fa a pensare che un pretestuoso, fittizio “miglio bianco” sia più significativo e in questo senso possa ritenersi brand, marchio di Forlì rispetto a piazza Saffi o all’Abbazia di San Mercuriale o all’iconico monumento di Aurelio Saffi? Accantonando le città più celebri, si ha idea quante strade, ricche di varia architettura civile e religiosa, vi siano anche nei nostri centri minori? L’elenco sarebbe interminabile, eppure nessuno ritiene, innanzitutto intelligente e, poi, opportuno chiedere per essi il riconoscimento esclusivo di patrimonio culturale: quindi, basta con questo sensazionalismo forlivese, così immotivato e provincialotto!

L’intervista di Bongiorno al suo esordio di temerario vicesindaco, pure accessoriato di delega alla cultura, mi pare un semolino lento, pappetta insapore e avitaminica, somministrata all’anemica cultura forlivese, ormai solo fraintesa, anabolizzata, dopata da tanto palcoscenico di teatro e recital, di concerti, concertini e sprazzi festivalieri, da ardite ascesi a qualche campanile cittadino, insomma da molto niente di quanto davvero debba costituire tutela e promozione della cultura forlivese e dei suoi valori. Forlì ha bisogno di idee nuove, di un nuovo progetto culturale che sappia coniugare quotidianità dei servizi ai cittadini con la proposta di poche, ma ben programmate iniziative di sviluppo museale ed espositivo, dunque fuori dalla futilità sciocca dell’improvvisazione, dell’invenzione soltanto arditamente paracula.

Franco D’Emilio

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