Una punizione esemplare, anche di monito a loro possibili emulatori, va inflitta ai colpevoli dell’idiozia razzista che a Forlì ha affisso volantini anonimi su alcune vetrine di negozi etnici; infatti, su fondo nero la duplice, miserabile esortazione da crociata contro cittadini di diversa etnia, perlopiù araba, africana e dell’Estremo Oriente, da anni residenti a Forlì e gestori di attività commerciali. In alto, “Basta Feccia” e, subito sotto, “Difendi la Romagna”, così i subumani autori di tanto luridume hanno vigliaccamente espresso il loro turpe progetto in due step: innanzitutto, individuare, a bella posta, in parte della comunità di origine straniera a Forlì un nemico spregevole, asociale, soprattutto, a loro dire, veicolo di tanta sporcizia che imbratta tradizione, costume e cultura della nostra città; poi, la consequenziale chiamata alla difesa della terra romagnola da tale feccia, costi quel che costi, magari, chissà, pure con modalità spicce e sommarie.
Sono parole d’istigazione all’odio e ad una violenza di chiara impronta razzista, giustificativa di un repulisti, discriminatorio e persecutorio, insomma di una pulizia etnica da quanti turbano la vita dei “nativi” forlivesi, risoluti, in questo caso, a restare unici ariani indigeni romagnoli. È bastata la chiusura di un esercizio della ristorazione etnica per inadempienza della legge sanitaria, cosa, in passato avvenuta anche a carico di ristoratori di puro sangue romagnolo, perché l’anima torbida della discriminazione razzista ne facesse il pretesto per pescare nella paura melmosa della frustrazione, della rivalità sociale, dell’inconscia voglia di menar le mani, avere un nemico sul quale scaricare paure e insoddisfazioni personali. È il solito, tragico copione, già visto, che rimanda all’ideologia razzista del Fascismo, documentata sin dal 1919, anno costitutivo dei Fasci di Combattimento, in tanto materiale documentario e bibliografico, non dimenticando il tascabile La Difesa della Razza del 1930 con prefazione di Italo Balbo.
Quanto accaduto a Forlì è il solito, terribile prodromo razzista che ha preceduto e animato l’antisemitismo nazista sino al terribile episodio della Kristallnacht, la Notte dei Cristalli, tra il 9 e il 10 novembre 1938 con l’assalto nell’intera Germania alle vetrine di tutti gli esercizi commerciali, gestiti da ebrei, tedeschi e non, insensatamente ritenuti sfruttatori e parassiti del Reich hitleriano. Qualcuno dirà che esagero, ma ogni strategia sopraffattiva, razzista o altro che sia, inizia e opera sempre a piccoli passi, spesso con modalità episodiche, isolate, magari definibili solo “bravate”, come pure ha dichiarato qualche commerciante forlivese, intervistato sul caso dei volantini razzisti, affissi a Forlì.
Certo, la brace della discriminazione e del razzismo cova sotto la cenere dell’indifferenza altrui, quella forlivese e romagnola compresa, pure solleticata e sollecitata, seppur senza volerlo, da talune premure di propaganda politica, quale l’eccessivo risalto dato dal governo comunale forlivese al fermo del negozio etnico, sopra menzionato: in fondo, era un legittimo, dovuto controllo ordinario dell’ amministrazione locale, non occorreva farne l’esempio clamoroso di una stretta sulla comunità straniera forlivese, quasi una pulizia realizzata sul momento e minacciata nel futuro perché si capisca che vige il pugno di ferro.
Quel Basta Feccia e quel Difendi la Romagna esprimono la povertà culturale, ideologica e politica di una parte, minoritaria, ma viva, di Forlì, solo sospinta dal pressapochismo, dalla convinzione che il bene della propria comunità possa valere e chiedere anche la “banalità del male”, la stessa analizzata da Hannah Arendt, appunto, nella sua opera Eichmann in Jerusalem. A report on the anality of evil. Non rassegniamoci che la madre degli imbecilli razzisti sia sempre incinta, la storia non lo consente e solo buone leggi, severe e fattive, devono garantire la convivenza giusta e pari di tutti i cittadini.
Franco D’Emilio