Mercoledì scorso, per motivi familiari, da Roma sono tornato a Forlì, proprio mentre sulla Romagna infuriava inesorabile tanta pioggia. Già in viaggio, dall’agenzia Ansa avevo appreso l’incombente tragedia di una nuova alluvione sulla pianura romagnola, ormai sempre più lontana dalla memoria pascoliana della “terra solatia dolce paese”; poi, a Forlì, ho subito letto negli occhi delle persone l’ansia e lo sgomento, la paura e la rabbia per la propria sorte, appesa ad un filo d’acqua o legata a quella goccia, capace di far traboccare il vaso della serena quotidianità della vita.
Davvero difficile, dunque, la notte tra mercoledì e giovedì scorsi, lo sguardo fisso agli aggiornamenti del Comune e, soprattutto, ai video, alle foto a corredo di post sui social, direttamente dalle zone più a rischio esondazione: alla fine, zone, periferiche e non, di Forlì nuovamente alluvionate a 16 mesi da un precedente, analogo evento; una sensazione di grande, sgomenta prostrazione sotto il peso della sconfitta, ancora peggio di una possibile, inevitabile resa. Siamo tornati punto e daccapo e se in 16 mesi dalla prima catastrofe poco o nulla si è potuto arginare di questo secondo evento, beh, allora, c’è qualcosa che non va, perlomeno non è stato fatto né il minimo oppure quel poco è stato realizzato maldestramente e con evidente stoltezza, come appare evidente da taluni interventi sul tratto forlivese del fiume Montone.
Certo, colpisce che diversi punti di esondazione nel Forlivese e nel Ravennate siano gli stessi dell’alluvione del ’23; certo, non sfugge a nessuno che tanta strombazzata, avvenuta pulizia dei corsi d’acqua contrasti con le sconfortanti barriere di tronchi ed altro materiale, di nuovo contro ponti o accumulatisi in punti di ristretta confluenza di corsi d’acqua. Ma, ancora di più, come non chiedersi con quale faccia tosta inetti politici e amministratori, qualunque sia il loro livello, nazionale o regionale o comunale, e qualunque sia il loro partito o schieramento d’appartenenza, possano insistere a convincere, direi a turlupinare il prossimo che le fogne sono a posto e ricevono la pioggia a gogò, che i tombini, le caditoie di strada sono puliti, pervi quando, invece, l’incazzatissimo cittadino forlivese vede tombini saltare in aria per la pressione, vede fogne inadeguate a smaltire la pioggia reflua, vede caditoie e, di nuovo, tombini occlusi da sporcizia, sterpaglie, tanto che basta sturare con le mani nella melma perché l’acqua scorra via subito.
Sicuramente, la violenza di una bomba d’acqua è terribile, ma è altrettanto sicuro che non è ammissibile farsi trovare nuovamente impreparati, indifesi perché si è provveduto poco e male o piuttosto per nulla; la verità è sempre quella: mentre nella Roma del governo, nella Bologna del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, nei vari Consigli comunali dei centri alluvionati si discute invano, nella Sagunto dolorosa degli alluvionati e di tanti romagnoli soffre la tenacia caparbia e muore la fiducia nelle istituzioni dei cittadini, ormai soltanto delusi e giustamente arrabbiati. Di questa tragica, pesante situazione, di questa rinnovata alluvione tutti sono, quindi, responsabili, nessuno escluso e nessuno con la dignità di potersi sentire assolto, volgendo lo sguardo e la coscienza altrove. A ragione, gli alluvionati della Romagna reclamano il diritto al bene comune della loro assistenza, del loro aiuto economico per ripartire, della loro tutela piena in ogni paese e città colpita, soprattutto per non pagare la divisione tra cittadini “sommersi e salvati”, tanto per riprendere un titolo di Primo Levi.
È uno spettacolo indecoroso, direi gallinaceo quello della politica locale, regionale e nazionale che dall’Emilia-Romagna a Roma vede destra e sinistra, tutti i partiti rimbeccarsi colpe e responsabilità sugli stanziamenti vecchi e nuovi, quest’ultimi relativi alla nuova inondazione; poi, sulla gestione di questi stessi finanziamenti; inoltre, su chi abbia operato bene o male tra destra e sinistra, dunque tra il governo nazionale nelle mani della Meloni, quello regionale emiliano romagnolo di Bonaccini e, ora, temporaneamente, di Priolo, infine quello dei comuni alluvionati, variabile di uno schieramento o dell’altro. Reciprocamente tutti i politici e amministratori accusano gli avversari e assolvono se stessi, ciascuno espone proprie giustificazioni farlocche, persino qualche candidato alle imminenti regionali, magari, sino a poco tempo fa, solo silenziosamente con le mani in pasta a qualche, per lui, redditizia municipalizzata, ora blatera, naturalmente “pro domo sua”, di cambiamento climatico, di regimazione delle acque, di programmazione di interventi a breve e lungo termine: insomma, per dirla con un’espressione cara al popolino romano, che cerco di mitigare nella sua eloquente volgarità, tutti e tanti, purtroppo, che “fanno i paraculi col fondo schiena altrui”!
Nessuno, ripeto nessuno che abbia denunciato l’assurdità della nomina di commissari straordinari all’emergenza alluvionale, ferma restando la macchina lenta, farraginosa della consueta burocrazia, centrale e periferica, chiamata, insensatamente, a gestire interventi e aiuti di rapido effetto. Patetico, poi, l’assessore del forlivese che, nuova alluvione ancora in atto, ha sentito, innanzitutto, il dovere di ringraziare tutti i soccorritori, anziché rendicontare sul tema, in quel momento più impellente, della sicurezza dei cittadini nuovamente in disgrazia: un plateale messaggio enfatico, chiaramente fuori luogo e ruffiano. Sono il primo a stimare il lavoro quotidiano, spesso molto rischioso, di tutte le nostre Forze dell’Ordine, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile, ma, a differenza del politico in questione non credo che tale stima richiedesse un’esternazione così inopportuna e strumentale.
Sul tema delle conseguenze dell’ultima ondata di maltempo ho pure assistito ad un incontro a Forlì tra giunta e rappresentanti dei quartieri: solo un momento interlocutorio, niente di che oltre un vicendevole scambio di informazioni all’insegna di un vacuo “si provvederà, vedremo, cercheremo” sotto la guida di un vicesindaco, microfono in mano, vera sorpresa di novello, aspirante conduttore, anchor man radiotelevisivo. Questi drammatici frangenti alluvionali ci hanno restituito e ancora ci restituiranno nel tempo l’immagine di una politica complessivamente inetta, opaca come l’ottone, soprattutto mediocre e la mediocrità, si sa, prima o poi, delude la scelta incauta degli elettori e non può conferire credibilità, autorevolezza a chi politicamente solo tronfio di tanta pochezza.
Franco D’Emilio