Pochi giorni alla ricorrenza della Marcia su Roma ed ecco che la memoria di quel fatidico 28 ottobre 1922 riaccende il contrasto tra fascismo e antifascismo con espressioni, spesso, di reciproca acuta ostilità, spinta anche da un moto di nostalgia: da una parte, nostalgia di chi rimpiange il Ventennio, dall’altra nostalgia di chi rimpiange che la Resistenza non si sia tradotta in una efficace, duratura “bonifica” della società, della politica italiana dalla persistente presenza e professione di idee, comportamenti, legati al ricordo del trascorso regime. In prossimità della fatale data della Marcia su Roma, torna, ancora più esasperato, il tema della nostalgia, soprattutto quella dei nostalgici del fascismo, magari in visita a Predappio per un omaggio ai luoghi natali e alla tomba del Duce, esibendo simboli, saluti di chiara celebrazione fascista.
Quest’anno, però, l’anniversario della Marcia su Roma ricorre dopo la significativa sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite dello scorso 18 gennaio sul frequente contenzioso, insorgente relativamente a talune esternazioni, quali il saluto romano e l’appello del “presente”, entrambi evocativi della gestualità rituale fascista: praticamente, gli Ermellini hanno sentenziato che il pericolo ricostitutivo del PNF, perseguito dall’art. 5 della legge Scelba del 1952 quando esplicito per palesi volontà e determinazione, non sia affatto ravvisabile in gestualità e incitamenti, pur di spirito fascista, però espressi in un frangente esclusivamente commemorativo, atto a celebrare, tramandare la memoria di persone o fatti, idealmente prossimi, magari, ad una militanza, fede politica, oggi perlopiù nelle fila della destra radicale. In conclusione, nel contesto di una commemorazione il saluto romano e l’appello del presente non violano la legge Scelba, non sono più un reato, dunque chiunque si riconosca nell’idealità e nella storia fascista ha il pieno diritto, appunto nel rispetto della legge, di celebrare la Marcia su Roma, a Predappio come altrove, con gestualità e appelli in circostanze di chiaro fine celebrativo.
Allora, s’impone che, a Predappio e altrove, in questa ricorrenza della Marcia su Roma come di altre date significative della cosiddetta Era Fascista, autorità e forze dell’ordine si limitino solo a verificare che saluti romani, appello del “presente” e altra gestualità o simbologia di spirito fascista ricadano pienamente in un’occasione celebrativa e, come tali, siano pienamente consentiti e tutelati contro l’avversione di chicchessia. Tuttavia, se da un lato è indiscutibile quanto la sentenza della Cassazione riconosca così il diritto d’espressione e partecipazione dei cittadini alla memoria celebrativa dell’identità, dell’ideologia e della storia fasciste, dall’altro è altrettanto palese quanto poco o, addirittura, nulla si sia provveduto e si provveda, da parte delle autorità competenti, per informare e assicurare pieno rispetto di detta sentenza, ivi compreso il perseguimento stesso, a norma di legge, di quanti intendano violarla, dall’una o dall’altra parte. Al pari di tutti i cittadini anche coloro, ispirati da valori fascisti, hanno pieno diritto alla celebrazione delle loro significative date storiche, dei loro protagonisti, hanno pieno diritto allo sviluppo di pubbliche iniziative, attività e manifestazioni culturali, utili ad approfondire, chiarire l’indagine storica sul Ventennio, le sue radici, i suoi sviluppi e la sua prosecuzione postfascista.
Nell’imminente ricorrenza della Marcia su Roma sono davvero curioso di vedere quale sarà a Predappio la condotta delle autorità forlivesi e quella di Roberto Canali, cerchiobottista, accomodante sindaco di centrodestra a Predappio; soprattutto, sono curioso di vedere il clima di svolgimento della celebrazione commemorativa, prevista nel capoluogo della valle del Rabbi. Mi auguro che nel paese natale del Duce la libertà di commemorazione aiuti a respingere quel clima contrapposto di nostalgia e risentimento che solitamente, a Predappio come altrove, si registra sia da parte fascista che partigiana. La nostalgia politica, qualunque ne sia il colore, è sempre una brutta bestia che suscita risentimento, muove reciproca ostilità, infine manifesta l’amara condizione psicologica del rimpianto da avvenimenti trascorsi che vorremmo rivivere: in quest’ultima evenienza, la nostalgia del Fascismo o quella della Resistenza tradita si collocano entrambe nel rapporto tra individuo e comunità collettiva, tra cittadino e politica ovvero esprimono una forma di opposizione ad una realtà politica presente, ritenuta mediocre, difficile a sostenere perché lontana da quello che si vorrebbe vivere. Il nostalgico, fascista o antifascista che sia, è una persona che cerca un ruolo, la motivazione del suo impegno e, perché no, visibilità nel proprio contesto sociale, dunque esprime una condizione antropologica che non va repressa, magari sanzionata, ma va sollecitata al confronto delle sue ragioni con quelle opposte.
Sinora, questo confronto non vi è mai stato, nessuno mai lo ha sollecitato, a troppi è convenuto e, tuttora, conviene che persista quel clima di aspra separazione culturale e politica, residua conseguenza della tragica guerra civile tra fascismo e antifascismo. Questo confronto non vi è stato perché sul Ventennio ha taciuto e, in parte, ancora tace la scuola con i suoi programmi tanto frettolosi, incompleti sulla più recente nostra storia contemporanea, soprattutto ispirati alla manichea distinzione che il fascismo sia stato il male assoluto e l’antifascismo il bene, alla fine trionfante. Questo confronto non vi è stato perché fino agli anni ’70 gli storici non hanno reso un racconto, un’analisi del regime fascista davvero imparziali, oggettivi: accanto ai peccati gravi del fascismo perché sottacerne, qui sta il coraggio dello storico, i meriti? Quella fascista fu, sì, una dittatura pesante, liberticida, ma fu una dittatura moderna, fortemente innovativa sul piano economico, sociale, culturale ed educativo: superfluo, in proposito, indicare qui tutti i provvedimenti del regime.
Questo confronto, ancora, non vi è stato perché altrimenti, soprattutto a sinistra, si sarebbe dovuto riconoscere come l’identità nazionale sia trascorsa, mutando e crescendo, attraverso le vicende del Ventennio, come il modello di omologazione degli uomini e delle coscienze, imposto dal fascismo, abbia comunque offerto un modello concreto, pur se discutibile, di riscatto per tanti italiani, prima in condizioni sociali molto svantaggiate. Sono convinto che il rispetto della recente sentenza della Cassazione possa agevolare, assecondare il confronto giusto, critico tra Fascismo e Antifascismo per contrastare l’attuale, ampia omertà della storia, delle istituzioni, degli italiani che, liberi, preferiscono tacere.
Franco D’Emilio