A detta di molti, compreso il caro, indimenticabile Indro Montanelli, pare che quando si inizia a dire “non vale la pena, tanto non cambia mai nulla”, ecco, allora, si comincia davvero ad invecchiare dentro, spesso in un marasma di amarezza, delusione, pure di sconforto. Sono, queste, parole di una sconsolata conclusione che, ai nostri tempi e in quelli futuri, sempre più freneticamente moderni, addirittura può e potrà rapida sopraggiungere anticipatamente, persino in un’età non propriamente collocabile nella vecchiaia, nell’antica, classica senectus. In fondo, si manifesta, così, quell’atteggiamento, quello stato psicologico, tanto attuale, di chi, come scrisse il giornalista e poeta cattolico francese Raoul Follereau, “mette la propria vita in conserva e va in pensione quando ancora giovane”.
Al riguardo, mi sento quasi un eroico resistente al conformismo crescente che nulla valga perché nulla mai cambia e mi rallegra il fatto che io la mia vecchiaia l’abbia messa assieme serenamente, in equilibrio giusto tra gioie e dolori, sempre reagendo al peggio e cogliendo nel meglio la bellezza della vita donatami. Sono vecchio biologicamente, tormentato da una cronica sciatica rompiballe e qualche altra defaillance fisica, ma non mi lamento affatto del complessivo bilancio di ormai 73 primavere, tutte trascorse intensamente e mai nel grigiore dell’indifferenza.
Per tutto questo mi considero, a ragione, un vecchio diversamente giovane, ancora curioso, incapace di stare a riposo, soprattutto deciso e sospinto ad impicciarmi di tutto e di tutti, perché mai rassegnato all’idea di essere ignaro del mondo che mi circonda. Della vecchiaia ho la tenacia aspra, pungente e l’esperienza di saper trovare la giusta crepa ove collocare il cuneo per far forza e spaccare il masso delle avversità; della gioventù m’è rimasta, invece, la voglia della sfida alla pochezza di talune vite altrui e alle sue conseguenze, comprese quelle sulle istituzioni, sulla politica e la società.
Rompiscatole sono stato da giovane e tale sono rimasto da vecchio, mai ho mancato in questa virtù che mi ha accompagnato nella vita familiare, negli studi, nel lavoro, perché no anche nell’amore. Difficile, per dirla alla fiorentina, infinocchiarmi da giovane e, ancora di più, oggi, da vecchio, resta arduo darmi ad intendere fiaschi per fischi o vendermi balle. Non ho mai pensato di risultare simpatico perché ho sempre preferito anteporre la serenità della mia coscienza. Mai stato uno stinco di santo, ma nei miei peccati manca sicuramente la colpa grave della cattiveria, del male a chicchessia; di altri peccati non discuto, ne porterò la responsabilità finché Altri, supremo ed estremo giudice, deciderà al momento, spero più tardi possibile, del mio viaggio verso un altro mondo che, comunque sia, spero mi incuriosisca anch’esso: i se, i ma, i perché non possono finire in un volo estremo.
Qualcuno si chiederà perché mai questo mia parentesi così intimistica. Che volete che vi dica, forse per la voglia, mai in me sopita, di scherzare e lasciarmi andare al pensiero che la vita, oltre che un leopardiano dolce naufragio in mare, possa risultare pure un lieve e fine cazzeggio, prima di scoprire cosa vi sia al di là del muro.
Franco D’Emilio