A Forlì la cultura non vede ancora il Bongiorno

Itaer Baracca

Veniamo ai fatti, anzi no, alle sue parole, considerato che, sinora, di fatti non ne ha concluso nessuno: troppo presto perché la sua banale politica culturale di annunci, traslochi museali ed un pasticcio concorsuale manifesti appieno il risultato improvvido del proprio lavoro di amministratore pubblico, svolto solo con lo spirito di piccolo travet della politica. Dunque, riprendo due esemplari dichiarazioni di Vincenzo Bongiorno, vicesindaco e, ahimè, mai tanta nomina fu così azzardata, assessore alla cultura di Forlì.

In un’intervista del 29 novembre scorso, riferendosi ai cosiddetti Mosaici del Volo, decorativi del cortile dell’ex Collegio Aeronautico, oggi Liceo Classico, il nostro assessore Bongiorno, forse illudendosi di stupire tutti con un suo inatteso volo pindarico di spirito antifascista, ha dichiarato, ohibò, con enfatico afflato: «I mosaici del volo offrono una formidabile occasione per far capire ai giovani quanto una certa propaganda poteva essere senza scrupoli nel presentare come “bella” una morte in guerra dettata da una presunta superiorità dell’Italia… Valorizzare i mosaici servirebbe come approfondimento storico, per capire le derive dell’epoca, quegli anni in cui si è usato con fare propagandistico le parole “morire e combattere“».

Peccato che, volendo volare alto, certamente suggestionato dalla vicina statua di Icaro, si sia avvicinato troppo al Sole della oggettiva verità storica, bruciando le sue posticce ali antifasciste e precipitando senza scampo a terra. Che figuraccia! Eppure, senza andar troppo lontano sarebbe bastato leggere quanto in ScopriForlì, a cura del Comune di Forlì, Cultura & Turismo: I mosaici del Volo, grande ciclo musivo che decora le pareti del Cortile Italico… “una grande opera che restituisce una vera e propria storia del volo, che da Icaro e dalle macchine volanti di Leonardo, attraversa le pioneristiche imprese aviatorie dei secoli successivi per arrivare alle esperienze di volo in pace e in guerra risalenti al Ventennio fascista“. Certamente non mancano motti di Gabriele D’Annunzio e Mussolini, utili alla retorica celebrazione del volo e delle sue applicazioni, pacifiche e belliche, ma dove stanno, suvvia, nei Mosaici del Volo dell’artista futurista Angelo Canevari l’intento esplicito ed esclusivo di rappresentare come “bella” la morte in guerra e, soprattutto, la deriva fascista verso la catastrofe, di cui, tanto a casaccio, parla l’assessore Bongiorno?

La gloriosa Aeronautica Militare Italiana fu costituita il 28 marzo 1923 durante il primo governo Mussolini, all’insegna del motto Virtute Siderum Tenus ovvero Con valore verso le stelle, tuttora in uso, quindi dobbiamo, adesso, additare anche questa locuzione latina come simbolo di nefasta propaganda fascista? Nell’opera musiva, ornamento dell’ex Collegio Aeronautico forlivese, si celebra, cosa non da poco, si documenti l’assessore Bongiorno, il progresso tecnologico italiano in campo aeronautico: bastino i nomi dell’ingegnere Corrado D’Ascanio o dell’industria Caproni, magari nel 1934 pure il primato mondiale per aerei con motore a pistoni del nostro Macchi Castoldi MC 72; si celebra, inoltre, lo sviluppo di una navigazione aerea sempre più moderna e sicura, si pensi all’esperienza delle Crociate Aeree Mediterranee e delle Crociere Aree Transoceaniche tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30; infine, la nascita nel 1934 di Ala Littoria, prima compagnia aerea italiana ad uso civile.

Sui Mosaici del Volo non insisto oltre, mi scuso di alcuni puntini sulle i, necessari a far capire quanto sia provvido per tutti sapere prima di parlare a sproposito. Dunque, veniamo ad altre dichiarazioni dell’ineffabile Bongiorno, più precisamente quelle del 17 dicembre scorso, pure su questa testata sotto il titolo “A Palazzo Albertini conclusi i lavori di restauro”: l’amministrazione Comunale è impegnata nel progetto strategico di un generale piano di recupero, riordino e valorizzazione delle proprie sedi culturali …. In questo contesto, particolare è rivolta alla riorganizzazione secondo i più moderni indirizzi museologici e museografici della civica Collezione Verzocchi nella nuova sede di Palazzo Albertini …. Palazzo Albertini rappresenterà un’ulteriore opportunità per continuare ad attrarre persone nel nostro stupendo centro storico.” Paroloni solo roboanti, che dicono tutto di niente, soltanto fuffa che impasta la bocca, un vero azzardo contro la museologia e la museografia, delle quali si fa vandalico paladino il temerario assessore Bongiorno.

Se, infatti, la museologia è la materia che si occupa dell’istituzione museale sotto il profilo del suo ambito storico, dunque del suo relativo contenuto culturale, e se, invece, la museografia, riguarda l’ambito organizzativo-tecnico di ogni istituzione culturale, allora anche un forlivese inesperto comprende quanto siano imprudenti, ma in particolar modo avventati i propositi del vicesindaco-assessore alla cultura circa la destinazione d’uso finale del restaurato Palazzo Albertini per accogliervi la Collezione Verzocchi, mirabile raccolta dell’arte del ‘900 italiano sul tema della civiltà del lavoro. Contro quei “più moderni indirizzi museologici e museografici”, evidentemente solo nella sua fantasia giustificatoria, ma ignoti a quanti responsabilmente e con cognizione si occupano di musei, Bongiorno rompe, cosa davvero grave e scientificamente ignobile, l’unità, la continuità della complessiva raccolta culturale dell’arte novecentesca a Forlì, la stessa che giustamente era stata interamente sistemata nel restaurato Palazzo Romagnoli, compresa, appunto, l’affine Collezione Verzocchi, anch’essa, quindi, a ragione, valorizzata in un ambito storico più specifico rispetto a quello precedente nella Pinacoteca Civica.

Con la collocazione a Palazzo Albertini l’assessore Bongiorno rende quasi episodica la Collezione Verzocchi rispetto al patrimonio artistico museale forlivese del ‘900 poiché la sottrae alla considerazione dei rapporti tra i suoi autori e quelli della restante raccolta, spesso coincidenti. Così, un giorno, i turisti a Forlì, amanti dell’arte italiana novecentesca dovranno, magari, correre dal S. Domenico al vicino Palazzo Romagnoli per finire, poi, in piazza Saffi: tutto per un malsano progetto, soltanto traslocativo, niente affatto logico e di buon senso che neppure si giustifica con l’improbabile finalità di accrescere i magri flussi turistico-culturali cittadini. Davvero si rischia che quod non fecerunt barbari, fecit Bongiornus ovvero il vandalismo contro il corpo culturale unico, organico e articolato dell’arte del XX secolo nella nostra città.

La cultura forlivese, ormai, è pericolosamente in mano alla sconsideratezza di dilettanti allo sbaraglio, come nella celebre Corrida di Corrado. Per carità, anche le precedenti amministrazioni di sinistra prendevano le loro cantonate, ma, adesso, a Forlì si rischiano micidiali tranvate, nemiche di una corretta gestione culturale. Si percepisce, consentitemi il gioco di parole, una cronica incultura dei criteri e delle necessità del mondo culturale, quindi si vende aria fritta, slogan, si fa credere in quello che non c’è: in fondo, non ci sarebbe, affatto, da sorprendersi che nella Dama con l’ermellino di Leonardo, se utile alle sue frasi altisonanti, campate in aria, l’assessore Bongiorno giungesse a ravvisare un’antesignana rinascimentale dell’ENPA, Ente Nazionale Protezione Animali, addirittura una somiglianza tra la donna ritratta, Cecilia Gallerani, e Greta Thumberg, animatrice delle attuali battaglie ecologiste e a difesa degli animali.

Non intendo gettare la scure addosso all’assessore del centrodestra ne’ dare spago all’opposizione forlivese, il mio fine è solo quello che sia salvo il valore unitario, oggettivo del patrimonio culturale forlivese e si trovino le finalità, le modalità più giuste per promuoverlo e valorizzarlo. Se solitamente saggia si rivela la locuzione che “il buongiorno si vede dal mattino”, ebbene credo che l’avvento, certo non messianico, di Bongiorno all’assessorato della cultura non sia premessa di sapiente gestione: finora, neppure un chicchirichì del gallo della caveja per il timore che il sole evocato illumini lo scempio in atto della cultura forlivese.

Franco D’Emilio

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