La bischerata forlivese del miglio bianco

Miglio Bianco viale della Libertà

È davvero difficile mandarlo giù, insomma rassegnarsi ad ingoiare il rospo del cosiddetto “miglio bianco”, baggianata spaziale dell’ex assessore forlivese alla cultura Valerio Melandri che così ha denominato, compreso tra la stazione ferroviaria e piazzale della Vittoria, il percorso rettilineo sul quale si affaccia un patrimonio, a suo dire, unico di storia e architettura. Per carità, nessuno nega che gli edifici, di finalità pubblica e privata, lungo questo tratto siano meritevoli di attenzione sotto il profilo storico e architettonico, però, anche considerando quanto testimoniato in altre nostre città, non esageriamo: infatti, solo tanto pretestuoso e pretenzioso risulta fare di un, seppur apprezzabile, tesoretto cittadino un’inestimabile ricchezza, addirittura da candidare attraverso l’Unesco a Patrimonio dell’Umanità.

Il miglio bianco forlivese non testimonia, affatto, l’unicità, azzardatamente attribuitagli; non possiede per nulla “l’omogeneità progettuale e la linearità dei linguaggi architettonici”, ravvisate dall’ex assessore Melandri, per questo rivelatosi spiccatamente presbite nella sua incapacità di valutare bene le cose da vicino; anche la denominazione “miglio bianco” non rispecchia minimamente l’uniformità di questo colore su tutti gli edifici in affaccio; infine, lo stesso percorso forlivese tra la stazione e piazzale della Vittoria misura poco meno di un chilometro, dunque il miglio terrestre di 1.600 metri non esiste, se non in una colossale baggianata. In conclusione, lungo il tratto di strada in questione si colloca un patrimonio edilizio, soltanto pot-pourri di stili eterogenei con qualche perla razionalista.

Eppure, a Forlì, ancora imperante il borgomastro Zattini, il fumoso miglio bianco tiene ancora botta, negandosi, così, l’evidenza, tra la stazione ferroviaria e piazzale della Vittoria, di quel chilometro reale, concreto, non asfaltato di fesserie, sul quale magari lanciarsi a tutta birra per propiziare davvero cose nuove e non bischerate per la città. Eppure, nonostante tutto, proprio nel capoluogo forlivese centrodestrista, dove tutti, contrariamente alle parole di Napoleone e Totò, si sentono marescialli prima di essere stati uomini e caporali, proprio nel “citadon”, adesso tanto desideroso di originalità provincialotta e astrusa, ancora sta su con lo sputo l’idea del miglio terrestre, inglese, pure bianco, di 1.600 metri, praticamente dalla punta del naso all’ingresso della stazione sino a ben oltre piazzale della Vittoria.

Tutto questo per allontanare e confondere in tanta fuffa distrattiva gli obiettivi, i traguardi di un rischioso gioco del Monopoli, quello incerto della politica di Zattini in campo culturale. Forse, nell’adozione zattiniana del miglio di Albione una rinnovata esterofilia contro l’autarchico, italico chilometro? Una sola cosa è certa: quando si è nani più che giganti della politica nazionale o locale, allora non resta che confondere le acque, magari complicare le cose e allungare i tempi, cosicché pure un modesto risultatuccio possa risultare grasso che cola, pur se solo da osso senza ciccia sotto la fiamma di grandi baggianate. Date retta, ironia del caso, si vede lontano un miglio che il miglio bianco, creatura di tanta spremitura meningea, è solo una bufala, una panzana ad hoc per tener banco col nulla e menare per l’aia non solo cani, ma pure tanti forlivesi creduloni.

Davvero un peccato che, proprio ora, nell’urgente necessità di uno slancio rigenerativo della nostra Forlì, il sindaco Zattini si ostini cocciuto a preferire il passo lento, ansimante di una ciaspolata sul miglio di 1.600 metri alla velocità, alla foga entusiastica di un chilometro lanciato a tutta birra verso la soluzione concreta dei tanti problemi cittadini. A chi ora l’eredità della bella pensata del miglio bianco? Un duplice timore da tempo mi attanaglia, pensando al neo assessore alla cultura Bongiorno, perfetto sacrista della ritualità ortodossa di Zattini, e al neo assessore allo sport Kevin Bravi, non fosse altro, nel caso di quest’ultimo, di un collegamento tra le proprie competenze assessorili e la presenza, sempre sul noto tratto, del complesso della ex GIL, simbolo e sede di tanto sport.

Il primo non promette nulla di nuovo: pari pari, molto pedissequamente dal suo predecessore Melandri ripete ossessivamente, nemmeno fosse la più celebre assistente vocale Alexa, la solfa del miglio bianco; il secondo, tanto autoreferenziale e autocelebrativo sui social, non mi rassicura della sua inattesa e miracolosa fortuna politica, soltanto originale nel nome Kevin che mi rimanda al mondo di Barbie o di un bambolotto col ciuffo banano oppure dell’omonimo ragazzino, protagonista del celebre film Mamma ho perso l’aereo. Che Dio ce la mandi buona, possibilmente alla velocità di un chilometro lanciato!

Franco D’Emilio

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