Sulla Fiera di Forlì una triste commedia delle parti

Fiera di Forlì

Bisogna provvedere al più presto, alto è il rischio che tutto vada a puttana e perso, ancora più rischioso sarebbe risolvere la cosa, tardi e in fretta, magari con la probabilità che la toppa sia peggiore del buco. La Fiera di Forlì va salvata, ma non solo, va soprattutto animata di nuova vita, restituita alle finalità e agli obiettivi che ne avevano motivato la nascita ovvero costituire un motivo di incontro e confronto tra imprenditori e produttori in campi, settori non solo distintivi a livello locale, ma ampiamente significativi anche a livello nazionale. Se questo proposito è fermo, allora dobbiamo convincerci che la Camera di Commercio della Romagna deve rimanerne protagonista importante perché imprescindibile.

Incredibilmente, ora la situazione delinea una conflittualità tra la Camera di Commercio della Romagna, detentrice del 27,5% delle quote azionarie societarie della Fiera di Forlì, dunque determinata a lasciare l’istituzione fieristica, e, udite udite, le associazioni forlivesi di categoria: una controversia assurda, perché inutile, ancora di più perché immotivata, quindi superflua. Per convincersi quanto sia di lana caprina la questione di tanto contendere basterebbe considerare quanto nel nostro diritto amministrativo ovvero “Le Camere di Commercio sono enti autonomi di diritto pubblico… La loro missione è lo sviluppo del sistema delle imprese e dell’economia, attraverso una sintesi delle esigenze di tutti i settori economici, rappresentati negli organi camerali attraverso le rispettive associazioni di categoria.”

Allora, la Camera di Commercio della Romagna ha deciso, solo di testa sua, di uscire dalla Fiera senza tener conto, interpellare, al riguardo, le associazioni di categoria? Oppure, le associazioni di categoria, pur consapevoli di talune difficoltà di affanno dell’ente fieristico, hanno lasciato che fosse la Camera di Commercio a tamponare, addossandosi la responsabilità della scelta se continuare o gettare la spugna. Da più di due anni si sapeva della ricerca di nuove prospettive di mission per la Fiera di Forlì; già due anni fa le associazioni di categoria, partecipi dell’ente camerale forlivese, avevano appreso la decisione unanime della Camera di uscire dalla Fiera, eppure hanno taciuto, innanzitutto ai loro stessi associati, poi, cosa molto più grave, hanno tradito il rapporto di vicendevole scambio con i cittadini romagnoli.

Questione, dunque, di lana caprina e, forse, qui crescono i sospetti, di lana caprina sottesa a tattiche strumentali, come quella delle nostre associazioni di categoria di colpire il vertice della Camera di Commercio per una decisione sulla quale, pur potendolo fare, però si son ben guardate di dire ohi o ahi. La Camera di Commercio della Romagna ha deciso da tempo, ripeto due anni fa, di uscire dalla Fiera di Forlì e questa decisione l’ha assunta nel rispetto delle sue prerogative e del suo rapporto con le associazioni di categoria, eppure quest’ultime, solo adesso, si svegliano, si scuotono, la buttano più o meno in caciara, quasi come mogli tradite, che solo adesso gridano contro il marito fedifrago, da tempo fuggito con la loro migliore amica!

Suvvia, abbozziamola questa questione di lana caprina, preoccupiamoci, piuttosto, se sia ancora possibile, sulla base di una innovativa progettualità fieristica, far recedere la Camera di Commercio dal suo proposito di uscire dalla Fiera di Forlì: per tale obiettivo risulta fondamentale il ruolo della politica locale, ancora di più la disponibilità del Comune di Forlì e della Fondazione-Cassa dei Risparmi di Forlì, entrambi soci di peso della nostra struttura fieristica: è tempo, insomma, di rinnovare idee e sinergie, non di tardive e piagnucolose recriminazioni.

Franco D’Emilio

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