Ai Romiti di Forlì un eccezionale “tengo famiglia”

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Mi piace sempre essere giusto, equo, all’occorrenza anche chiedere scusa, magari di aver calcato troppo la mano. Torno sul tema del familismo, da me sollevato attorno all’inopportunità della candidatura alle prossime elezioni di quartiere della gentile consorte del vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Forlì, Vincenzo Bongiorno: ribadisco il giudizio critico, mio e pure diffusamente altrui, di tale candidatura, ma forse ho esagerato, in fondo si tratta solo di una mogliettina sulle orme del marito, nulla di più.

Adesso, mi trovo, infatti, costretto a riconoscere come il vicesindaco forlivese potesse impegnarsi maggiormente, perché no assecondando, sempre tacitamente e volgendo altrove lo sguardo, pure qualche altra candidatura familistica, magari un parente oppure i testimoni di nozze o, perché no, il fotografo al proprio matrimonio, artista del prezioso scatto dei due immancabili ‘Sì’ con lo scambio delle fedi. No, in fondo il vicesindaco Bongiorno è stato parco, forse per svogliatezza o per quel senso della misura che spesso il troppo stroppia.

Invece, il troppo non stroppia nel caso di Stefano Valmori, esemplare tutore delle forze dell’ordine, candidato, credo per la terza volta, nel quartiere forlivese dei Romiti, in compagnia di suocero, madre, una zia acquisita, anche se, purtroppo, senza più la moglie, ritiratasi all’ultimo momento, forse nell’evidenza che di famiglia ce n’era sin troppo, quindi meglio dare l’esempio di un minimo bon ton della misura. A questo punto, il caso Bongiorno, converrete con me, appare solo la punta dell’iceberg, mentre il caso Valmori si rivela la parte immersa, ben più vasta e insidiosa della democrazia, partecipata familisticamente.

Dunque, alla coppia Bongiorno ovvero due cuori e una capanna, si affianca il clan Valmori, asso pigliatutto, quasi con le fermezza di un clan scozzese o di una famiglia dominante, appunto, nel parlamentino del quartiere Romiti. Un vero “tengo famiglia” che, avrebbe detto Benedetto Croce, dimostra quanto sia fittizia la democrazia in poche mani altrui e in tante proprie, come potrebbe, appunto, risultare ora ai Romiti: diversi del clan Valmori, pochi degli altri e les jeux sont faits, sempre salvando l’apparenza della scelta democratica.

Ho una foto che ritrae assieme Bongiorno e Valmori. Sono al riparo della copertura protettiva di una tavolata: Stefano Valmori seduto mostra il pollice alzato di stampo facebookiano; Bongiorno con un gilet giallo fosforescente, utile a segnalare, ancora di più all’altrui attenzione, la propria, autorevole presenza e con un braccio teso sulla spalla dell’altro. Una foto che dice tutto: i due si piacciono, s’intendono e il like pollicesco di Valmori sa di intesa, quasi da top gun della politica forlivese. Una cosa, però, riconosco nel caso Valmori e Bongiorno: il comune senso della famiglia, sempre stretta e unita davanti a tutto e agli altri, il resto può attendere.

Franco D’Emilio

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