Non c’è mai profondità culturale in una pozzanghera

Allegni e Bongiorno

Stamani, ho seguito più volte, il video di Teleromagna con buona parte di un’intervista, rilasciata da Vincenzo Bongiorno, sagacissimo assessore alla cultura del Comune di Forlì. Per dirla con le parole di Erich Maria Remarque, niente di nuovo sul fronte del “miglio bianco”, l’opaca trincea della cultura forlivese, da tempo solo frappè di happening artistici e cosucce, purtroppo pagine nient’affatto utili allo spessore di un volume di buona lettura, ma solo allo spessore di una zeppa da porre sotto la gamba di un tavolo traballante, appunto quello della cultura forlivese.

Cultura forlivese soprattutto priva di un proprio modello che contemperi efficacemente conservazione, tutela e promozione in servizi ed eventi culturali, in particolare modo espressivi, identitari del territorio. Ma questo l’ho già scritto e sono, ormai, rassegnato all’evidenza che con l’attuale, geniale giunta forlivese di centrodestra e con il suo alfiere assessorile alla cultura non valga la pena insistere nella convinzione che repetita iuvant. Stamani, però, ho appreso dal verbo bongiornesco, urbi et orbi, che la candidatura di Forlì a capitale italiana della cultura 2028 poggia su quattro capisaldi, per fortuna risparmiandoci, così, almeno stavolta, la fottuta panzana del “miglio bianco”.

I quattro capisaldi sono, rispettivamente, due tristi ricorrenze, un “bilancino” ed un gemellaggio. Le prime due, ricorrenti nel ’28, sono il 600° anniversario del miracolo della Madonna del Fuoco, Patrona di Forlì, e il quarantennale dall’assassinio del prof. Roberto Ruffili, illustre concittadino e fine cattedratico, politologo di notevole caratura, da parte del vile terrorismo comunista delle Brigate Rosse; il “bilancino” è il bilancio della ventennale sequela di mostre forlivesi, solo due espressive di storia ed arte del territorio, che io, da sempre, indico col diminutivo, considerando quanto minimo sia stato il loro effetto trainante dell’intera cultura forlivese, lo testimoniano adesso il dissesto, la cattiva gestione del patrimonio e dei servizi culturali cittadini; infine, il gemellaggio del nostro “citadon” con la città francese di Bourges che sarà capitale europea della cultura proprio nel ’28 in concomitanza con Forlì, per la stessa finalità capitale italiana.

Caspita che capisaldi, veramente irripetibili, come li definisce il nostro assessore, tanto da frenare il mio morso ad una gustosa ciambella di Desideri, sublime pasticcere romano nel quartiere di Monteverde! Che geniale figata, ci voleva proprio Bongiorno a scuotere i forlivesi, disattenti a simili perle culturali, che sicuramente contano, ma non possono assolutamente essere i presupposti fondanti di una candidatura a capitale italiana della cultura. Nulla tolgo al valore storico, sociale della Madonna del Fuoco e del mite, acuto prof. Ruffilli nè ignoro il valore delle grandi mostre forlivesi, pur nella parzialità della loro ricaduta: però, sul parallelo tra Forlì e Bourges, entrambe capitali della cultura nel 2028, mi dispiace, ma non ci sto, proprio non mi va giù tanto azzardato accostamento del capoluogo forlivese alla piccola città francese.

Per onestà intellettuale, relativamente a Bourges, basta informarsi sullo spessore dei suoi servizi culturali, del suo polo museale, della fattiva capacità aggregativa della sua “casa della cultura”, infine del suo stretto rapporto con il territorio per comprendere quanto la piccola citta d’Oltralpe, neppure 70.000 abitanti, sia davvero anni luce davanti a Forlì sul tema della politica culturale, costruita su un vero, concreto modello ispirativo, invece assente, non mi stanco di ripeterlo, nella realtà forlivese. Alla fine, ho spento il cellulare, affogando nella soavità del cappuccino l’amarezza quanto sia sempre vano cercare profondità culturale in una pozzanghera.

Franco D’Emilio

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