
Vedremo. Col nuovo Papa il meglio che possa capitare a tanti di noi, da tempo disorientati credenti cattolici, è la permanenza nella padella, magari antiaderente, senza cadere sulle braci ardenti di una Chiesa, sempre più avventurista nel suo riformismo, compiacente e arrendevole, tanto lesivo della tradizione e, soprattutto, incurante del rapporto tra dottrina e pratica religiosa. Dunque, con Robert Francis Prevost, ora Papa Leone XIV, di nuovo un “americano a Roma”, questa volta, però, vero yankee doc da Chicago, non più dall’immaginaria Kansas City di Nando Moriconi, indimenticabile personaggio, comicamente americaneggiante, di Alberto Sordi.
Quando dalla loggia vaticana c’è stato l’annuncio che tale agostiniano Prevost fosse il nuovo pontefice, in piazza San Pietro tanti sguardi si sono incrociati nell’inatteso interrogativo chi mai fosse costui, cardinale carneade di una pletora cardinalizia, persino incapace di dialogare appieno al suo interno, tanto che alcuni dei suoi si sono rivelati pateticamente incolti nelle lingue straniere, compreso l’italiano, e, addirittura, incredibile a dirsi, nel latino ecclesiastico di uso curiale. Quest’ultimi, quindi, annoverabili davvero tra i principi della Chiesa o piuttosto, fate voi, tra muti chierici, beneficiari di immeritata porpora cardinalizia?
Certamente, dal conclave sono usciti amaramente chierichetti a servir messa al papa americano i cardinali, italiani e asiatici, supepapabili della vigilia: ho sperato in Pietro Parolin sino all’ultimo, mi è dispiaciuto che sia stato giubilato in tempo di Giubileo. Egli per me l’uomo giusto, capace di riformare e rafforzare la Chiesa, non più in modo avventuroso e con tanto sensazionalismo mediatico, ma solo partendo da solide premesse, costruite sul pieno confronto dialettico tra le parti interessate, compresa la nota diade dei conservatori e progressisti. Invece, niente, placcato dal mingherlino Robert Francis Prevost da Chicago, certo non degno di essere annoverato rugbista dei celebri Chicago Lion Hounds.
Sino a quasi tre anni fa il futuro Leone XIV era soltanto un erudito missionario agostiniano, pure esperto giurista, poi, grazie a Papa Bergoglio, ha inattesamente bruciato le tappe in una vertiginosa ascensione, sino allo scherzo da prete di diventare pontefice, monarca assoluto e teocrate. Tutto questo con la complicità di un papocchio che ha fatto e fa tuttora tanta rima con pastrocchio: insomma, un abile escamotage che ha raggirato, pastrocchiato ovvero pasticciato le carte sul tavolo di una svolta papale moderata, finalmente concretamente costruttiva e riformatrice, non più divisiva; che ha combinato un papocchio, puntando su un nome anonimo che fosse disposto a lasciarsi affiancare nel governo della Chiesa da un determinante gruppo di cardinali, sempre allineati e coperti nel solco infruttifero di Papa Francesco.
Già, proprio quel “gabinetto ministeriale”, cui hanno accennato molti vaticanisti durante i giorni del preconclave e conclave. Adesso, rassegniamoci a Papa Leone XIV, perlomeno illudiamoci che possa ancora fare bene, nonostante lo Spirito Santo abbia registrato un nuovo calo di diottrie nell’individuare il successore di Pietro. Intanto, nel duomo di Forlì si prepara una messa di ringraziamento per l’elezione con papocchio del nuovo Papa: la solita conferma dello spirito d’adattamento dei mercanti nel Tempio.
Franco D’Emilio