
Valeggio sul Mincio, Comune di poco più 16 mila abitanti in provincia di Verona sulle rive del fiume Mincio, è candidata a capitale italiana della cultura 2028 col sostegno di alcuni municipi limitrofi, come quello di Roverbella, e con l’assenso di ampia rappresentanza delle istituzioni della regione Veneto. Complessivamente, dunque, in rappresentanza di un territorio e di un patrimonio culturale ben più vasto di quello valeggiano. La cosa suscita la mia simpatia: sul Mincio un novello Davide, armato di sola fionda contro un tracotante e “sborone”, per dirla alla romagnola, Golia forlivese, solo con tanta acqua alla gola per il continuo rischio alluvionale a causa dei suoi risibili fiumiciattoli.
Che bello sapere che, ancora una volta, l’intelligenza del buonsenso e dell’opportunità di fare le cose giuste al momento giusto, comprese le agognate candidature a capitale italiana della cultura, si opponga alla pretesa, solamente forte a chiacchiere, poco nei fatti, di voler rappresentare la cultura italiana nel prossimo 2028. Valeggio sul Mincio e i Comuni a suo sostegno detengono, curano e promuovono efficacemente il patrimonio culturale del territorio; Forlì, invece, male amministra un sistema culturale, soltanto sgangherato, diviso nella logica di un insano spezzatino e spesso con tanto vandalismo traslocato a pezzi, un po’ di qua, un po’ di là, dove capita.
Certo, per Valeggio sul Mincio e i Comuni alleati la battaglia contro Forlì risulta davvero dura, ma altrettanto significativa. Valeggio ha dalla sua parte un tessuto culturale, ben rappresentato e gestito in termini di servizi tra storia e arte, tra tradizione e natura. Basta pensare all’intreccio, molto tutelato e conservato, tra le sue architetture religiose, quelle civili e dei parchi, infine quelle militari; basta considerare le numerose iniziative di spessore, quindi nient’affatto finalizzate solamente a fare piazza, come nella realtà forlivese, che a Valeggio e nei Comuni vicini valorizzano letteratura, cinema, teatro e l’eccellente enogastronomia del territorio, sicuramente non seconda dopo quella romagnola.
Insomma, un vero paradiso culturale sulle rive del placido Mincio. Però ci sono dei però, immancabilmente a sfavore dei piccoli Davide. Innanzitutto, Valeggio sul Mincio non è proprio Forlì, non ne possiede la pessima stoffa. Non possiede neppure un centimetruccio risicato della falsità culturale del “miglio bianco” forlivese, del quale tanto si parla a vanvera, senza che si possa obiettivamente riconoscere la sua effettiva esistenza in termini di uniformità architettonica. Poi, sempre Valeggio non dispone di una prolifica fondazione bancaria, come quella della Cassa dei Risparmi di Forlì, che sforni mostre a gogò, dopo la loro conclusione durevoli nella memoria quanto la ricorrenza del 31 febbraio.
Ancora, Valeggio sul Mincio non può contare sull’inflazione forlivese di associazioni, conventicole culturali ed eminenti storici-ciceroni casalinghi, pronti a mettere mani nella pasta gestionale del capitalato culturale 2028. Ancora di più, a differenza di Forlì, non ha discendenti di illustri personalità della scienza, delle arti e delle lettere, mai paghi di campare sul nome dei padri, compresa questa ghiotta occasione della capitale italiana della cultura. Infine, cosa non da poco, Valeggio sul Mincio, sempre a differenza di Forlì, non ha un assessore alla cultura che possa fare dire che il “Bongiorno” si vede dal mattino. Amici di Valeggio sul Mincio, in bocca al lupo, ne avete bisogno, però vi considero già vincitori morali!
Franco D’Emilio