A Forlì si rinnova la tradizionale celebrazione della festa di San Biagio che ha la sua sede nella chiesa intitolata al santo nel centro storico. Originario di Sebaste in Armenia, Biagio, che alla luce degli ultimi studi condotti sulle reliquie di San Mercuriale era quindi compatriota del proto vescovo forlivese, in gioventù si dedicò agli studi, in modo particolare a quelli di medicina. Al letto dei pazienti curava le malattie del corpo, e con la buona parola e l’esempio cristiano cercava pure di risanare le infermità spirituali.
Vescovo di quella diocesi orientale, fu arrestato durante la grande persecuzione iniziata da Diocleziano all’ inizio del IV secolo e proseguita sotto Licinio; di fronte al giudice sopportò crudeli torture non rinnegando la propria fede. Condannato all’ affogamento, il vescovo riemerse miracolosamente camminando sulle acque. A questo punto, il giudice Agricola lo fece decapitare. In precedenza, mentre veniva condotto dopo l’ arresto di fronte alle autorità per essere interrogato, Biagio operò il miracolo di guarire un bambino che stava per morire soffocato da una spina in gola. Per questo motivo il santo è considerato protettore dalle malattie che colpiscono la gola.
Il 3 febbraio nella chiesa forlivese, ricostruita sulle macerie della quattrocentesca San Biagio in Girolamo completamente distrutta dal bombardamento tedesco del 10 dicembre 1944, verranno celebrate messe sia al mattino che nel pomeriggio (ultima messa alle ore 18,30); al termine di ogni celebrazione vi sarà la benedizione della gola con l’ imposizione sul fedele delle candele benedette incrociate e la tradizionale benedizione della frutta.
In occasione della festa di quest’ anno è stata restaurata la cappella di San Biagio, arricchita dal nuovo altare, dominata dalla lunetta raffigurante la distruzione di San Biagio dipinta alla maniera di Picasso dal pittore forlivese Claudio Pantieri (fine XX secolo).
Sempre in ossequio alla tradizione, nei locali della canonica è stato organizzato anche quest’ anno il mercatino a sostegno delle opere benefiche parrocchiali.
Paolo Poponessi