È accaduto ancora. In un Comune del nostro appennino, lo scorso fine settimana – non aggiungo altro a tutela della persona interessata – una giovane minorenne in evidente stato di alterazione per abuso alcolico (qualche testimone addirittura ha riferito di essere andata assai vicino al coma etilico) è stata soccorsa dalla pubblica assistenza, messa in condizioni di stabilità, quindi avviata al ricovero e alle cure in ospedale. L’ennesimo caso di sballo giovanile, del quale tutti sappiamo, ma contro il quale non si riesce a fare nulla di efficace oltre l’inevitabile, clamorosa denuncia.
Sicuramente permissivismo e giustificazionismo sono due atteggiamenti complici di questi episodi di malessere dei nostri giovani, espressione di disagio e/o segnale di una devianza, entrambi radicati in una scarsa integrazione, quindi nella conflittualità con le dinamiche familiari, culturali e sociali: la mancata acquisizione di una identità personale, costruita su finalità e ruoli definiti, concreti e fattivi, inducono i giovani a evadere da questa condizioni di vita attraverso l’uso di sostanze stupefacenti o di alcol che possa, anche solo temporaneamente, togliere la coscienza delle proprie difficoltà umane e morali.
All’origine dello sballo è sicuramente complice il permissivismo ovvero l’atteggiamento tollerante, indulgente delle famiglie e delle comunità, non escluso pure quello di taluni educatori, inclini a sostenere che tutto avvenga per l’immaturità, la vulnerabilità dei giovani, soprattutto se minorenni: insomma, solo un peccato di gioventù. Sulla reiterazione dello sballo influisce, poi, il giustificazionismo, la posizione di chi, appunto, lo giustifica, riconducendone le cause ai mali complessivi della società o, assurdità, collegandolo ad una libera scelta personale. Sono due atteggiamenti deplorevoli perché con una considerazione errata dello sballo giovanile, non più percepito nella sua piena verità di fenomeno riprovevole sul piano umano e morale, fra l’altro con una pesante ricaduta sociale.
Diversamente lo sballo si profila nella città e nelle piccole comunità, quali i paesi, i centri minori, montani o di pianura: nelle città esprime l’adozione di uno stile di vita, anche solo parziale, contrapposto alle regole correnti e suffragato dal crescente numero di proseliti; nelle piccole comunità è avversione, spesso ribellione, senza dubbio voglia di emancipazione, il più delle volte impossibile, da spazi angusti, pieni di pregiudizio e scarsa disponibilità ad uscire da parametri di vita immutevoli, però sicuri. In comune, tra le due realtà, il fatto che tutto avvenga il fine settimana, quasi nel riscatto rituale dalla vita ordinaria di giorni trascorsi tra famiglia e scuola, tra regole e limiti di condotta. Nella recente campagna elettorale per il consiglio regionale dell’Emilia Romagna non ho sentito da alcun contendente qualcosa di davvero innovativo sulle cosiddette politiche giovanili, tanto meno sulla problematica specifica dello sballo del fine settimana.
Ancora di più, continuo a rilevare e mi viene riferito come, pur in presenza di precise norme sanzionatorie, si continui a vendere, potremmo dire spacciare, alcol ai minorenni, dai bar ai supermercati. Si continua a dire che la soluzione dello sballo sia riposta nelle politiche per la famiglia e in una rinnovata funzione formativa ed educativa della scuola, ma, poi, poco o niente s’investe significativamente nell’une e nell’altra. Nei grandi Comuni solo alcune amministrazioni adottano utili provvedimenti, ma solo di contrasto e tampone senza mai risalire alle radici del problema; nei piccoli centri, invece, nessuna attenzione è prestata, quasi tutto si possa confinare nelle difficoltà di pochi giovani, quasi additati a scandalo della comunità. Può mai continuare cosi vergognosamente la piaga dello sballo? O, forse, per abitudine lo tolleriamo, rassicurati che non ci tocchi personalmente, come genitori?