A detta di qualcuno la ex Casa del Fascio di Predappio riserva continue “sorprese inattese”, conclusione, questa, che mi fa bonariamente sorridere: non vedo, infatti, alcuna sorpresa, soprattutto non ravvedo niente di sorprendentemente inaspettato.
È, forse, una sorpresa inattesa ritrovare una brocca per l’acqua, di metallo smaltato bianco, in un edificio fascista che originariamente accoglieva pure un albergo diurno?
Può mai sorprendere il ritrovamento di una macchina scarnitrice del pellame in una ex Casa del Fascio, che tutti sanno poi adibita a sede di un tomaificio calzaturiero?
L’imponente costruzione, sede del PNF predappiese, ha avuto la sua storia al pari di tanti altri edifici, pubblici e privati: dalla sua realizzazione materiale alla sua prima destinazione d’uso; dalla sua pluridecennale vicenda di abbandono, voluta dal disprezzo iconoclastico dei vincitori del Fascismo, al suo utilizzo per attività discontinue e inopportune.
Insomma, la ex Casa del Fascio di Predappio è materialmente e storicamente figlia del suo tempo, quello dai fasti del Ventennio alla lunga, successiva incuria.
Ogni pietra, ogni stanza, ogni traccia di vita e attività, accolta tra le sue mura, racconta la vicenda, la parabola tra l’ascesa e il declino di un edificio, nato per essere simbolo della socialità fascista e finito, poi, solo a testimoniare, in senso esteso, un’epoca finita e, in senso stretto, ma, per fortuna ancora vivo e attuale, a documentare la grande stagione dell’architettura razionalista del ‘900.
Dunque, una costruzione di rilievo, ma niente affatto, sino ai nostri giorni, custode di chissà mai quali “sorprese inattese”: i suoi mattoni, altri suoi materiali e impianti possono sì recare ancora marchi di fabbrica ed evidenziare aspetti tecnici dell’epoca, ma tutto racconta soltanto la modalità costruttiva di un tempo, così come casa mia, una villetta della metà anni ’80, ha travi del tetto, porcellane sanitarie, pavimentazioni, contrassegnate da loghi o acronimi, impressi o a rilievo, di aziende produttrici tra la Toscana e l’Emilia Romagna.
Con la differenza che, se la ex Casa del Fascio di Predappio è stata un tetto fascista per la sola stagione del Ventennio, casa mia è tuttora, da lungo tempo, il tetto per la vita di diverse stagioni e storie familiari.
Credo che gli annunci sui social di “sorprese inattese” all’interno della ex Casa del Fascio di Predappio, in realtà niente che possa davvero stupire, riflettano solo tanta enfasi ovvero un’eccessiva, retorica attribuzione di significato, evidenza a particolari costruttivi e d’arredo, tipici di un’epoca e nulla di più.
Oltre 10.000 furono le Case del Fascio costruite dal regime, spesso con dotazioni e impianti simili anche a quelli di tanti altri edifici pubblici: cancellate o porte scorrevoli si trovano nella ex Casa del Fascio di Predappio come alle Poste Centrali in piazza Saffi a Forlì o alla ex Casa del Fascio di Como o alla sede direzionale EUR di Roma. Quindi, non enfatizziamo, non esageriamo, svelando inesistenti “sorprese inattese” a Predappio!
Lo stilema e la modalità costruttiva della ex Casa del Fascio di Predappio si modularono, quindi si omologarono ad un modello di massima, pur se variabile nell’interpretazione di ogni progettista. Enfatizzare inconsistenti “sorprese inattese” appartiene ai cultori saputelli di una visione provincialotta e miope della storia: vedono solo le cose molto vicine, dimenticando di inquadrarle in una visione più ampia.
Questo è il limite di chi vuol solo sorprendere a qualunque costo!