L’autunno, ormai inoltrato, in quel novembre 1938 non sembrava davvero promettere nulla di buono per i circa 50.000 italiani di origine e religione ebraica, da mesi attenzionati, come si usava dire nel gergo poliziesco-fascista, in applicazione di vari provvedimenti, uno appresso all’altro, quasi una gragnuola di colpi sulla testa, la dignità, il futuro dei nostri connazionali ebrei.
Già nel pomeriggio di giovedì 17 novembre, a voce e sulle gambe, ancor di più per telefono, si era diffusa, a Roma e altrove, la notizia dell’approvazione da parte del governo mussoliniano dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana, identificati da un asettico, burocratico Regio Decreto-Legge 17 novembre 1938-XVI, n. 1728.
Così il giorno successivo, venerdì 18 novembre, i quotidiani italiani del mattino avrebbero annunciato a caratteri cubitali l’inizio della terribile persecuzione antiebraica ad opera del Fascismo, già dal 1919, però, deciso sostenitore, pure in sede congressuale, di palesi prodromi di razzismo e antisemitismo.
Dal ghetto romano, retrostante alla sinagoga su Lungotevere de’ Cenci, la funesta notizia raggiunse tutte le comunità ebraiche italiane, costringendole nel tramonto di quel venerdì 18 all’inizio della più triste festa, mai prima vissuta con tale angoscia, del riposo settimanale dello Shabbat.
Però, che strane la vita e la storia, sempre venerdì 18, in un riquadro minimo di tanti giornali sarebbe apparsa anche la notizia del conferimento del premio Nobel per la fisica ad Enrico Fermi, presto costretto ad emigrare negli USA, proprio per non subire le leggi razziali per via del suo matrimonio con un’ebrea.
Fermi non tornò più, ma si salvò, diversamente dai tanti ebrei, pure forlivesi, che o, deportati nei campi di concentramento, passarono per i camini dei forni crematori oppure non partirono mai, perché uccisi nei crateri delle bombe all’aeroporto Forlì.
Sono fermamente convinto che in Italia l’Olocausto abbia avuto le sue premesse sin dalla prima bottiglia d’olio di ricino, fatta ingurgitare alla prima vittima dei fascisti: quando, infatti, si inizia ad offendere la dignità di un essere umano, si perde ogni limite alla possibile diffusione di questa offesa e, cosa ancora più grave, del male che la ispira.
Altrettanto sono persuaso che sia falso, fuorviante affermare che l’Italia sia stata, allora, un “paese buono, estraneo al delitto razziale” o che il peso della nostra evidente responsabilità collettiva possa ridursi con il merito, quasi il vanto di un “numero minimo di ebrei italiani sterminati”!
In Italia furono 200 i luoghi di deportazione fascisti e la caccia sistematica all’ebreo, il collaborazionismo e la delazione contribuirono al tremendo bilancio della nostra Shoah: oltre 7.900 ebrei italiani annientati sui circa 50.000, residenti all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Trovo anche ingannevole pensare che la campagna antisemita del Fascismo nel 1938 abbia risposto unicamente al disegno del regime mussoliniano di rendersi ben accetto alla Germania nazista: sicuramente ebbe pure questo risvolto, ma principalmente ubbidi’ ad altre esigenze di carattere interno ed esterno:
• cementare il livello del sostegno al Fascismo, emarginando ogni diversità, intesa come potenziale dissenso;
• individuare nel giudaismo internazionale e nazionale la responsabilità di un complotto teso a disgregazione dall’interno l’Italia fascista, ferma oppositrice proprio di quei valori democratici e partecipativi, tanto radicati nella cultura politica e civile degli ebrei;
• ribadire la distanza del Fascismo dalla democrazia e far accettare pienamente al popolo italiano sia la fascistizzazione piena dello stato sia la svolta della nostra politica estera con lo sganciamento dalla Società delle Nazioni e con l’intesa sempre più stretta con la Germania hitleriana.
Oggi, nella ricorrenza dell’84° anniversario dell’emanazione dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana, RDL 17 novembre 1938-XVI, n. 1728, occorre che sempre più vi sia conoscenza, consapevolezza di tale vergogna e delle sue pesanti conseguenze nella storia italiana sotto il regime fascista, soprattutto per trarne il rinnovato impegno che mai più l’Italia conosca una simile ingiuria al suo patrimonio di nazione civile con grandi valori culturali di libertà e tolleranza.
Franco D’Emilio