La notizia mi ha suscitato l’immediata amarezza, assai comprensibile, del cittadino, ancora una volta deluso dalla rinnovata incapacità amministrativa dello stato, ma contemporaneamente ha mosso la mia rabbia crescente. Sì, mi sono terribilmente incazzato, come è giusto che sia la reazione di chi, per quasi 40 anni dipendente del Ministero per i beni culturali, oggi Ministero della cultura, ma poco o nulla è mutato in questo, solo formale e improduttivo, passaggio da “zuppa a pan bagnato”, è stato testimone della persistente, perché sempre irrisolta, carenza del personale di vigilanza alle dipendenze del ministero in questione.
Nei musei statali italiani mancano i custodi, i cosiddetti addetti alla vigilanza e all’accoglienza, come nella più fine e burocratica definizione dei profili professionali del Ministero della cultura, soltanto aria fritta di fumose battaglie sindacali. Il problema persiste, ostinatamente in agguato: pochi i custodi nei musei statali, quindi ridotta vigilanza e minore sicurezza sui flussi dei visitatori; insufficiente garanzia di un’efficace azione preventiva e repressiva di ogni possibile offesa ai beni culturali esposti; infine, crescente riduzione al pubblico degli orari di apertura di istituti e complessi monumentali o archeologici.
Addirittura, da Venezia a Firenze, da Roma a Napoli si rischia ora, infatti, la chiusura di diversi siti culturali dello stato, alcuni anche prestigiosi e di grande richiamo. Si profila, nuovamente, un vergognoso fallimento della cultura nazionale, poi del Ministero della cultura, dunque del turismo culturale: tutto per l’insipienza politica e amministrativa di non saper concretizzare appieno quella ricchezza che, tanto efficacemente, nel 1986 Gianni De Michelis, allora ministro del lavoro, aveva individuato nei nostri “giacimenti culturali”.
Da allora, mai più visto un piano pluriennale di valorizzazione culturale nazionale, solo interventi parziali, spesso posticci, nessuna finalità formativa e di incremento dell’occupazione nel settore della tutela, conservazione e promozione del patrimonio culturale dello stato.
Senza andare tanto lontano, già nella sola città di Ravenna, nell’imminenza della stagione turistica, da Pasqua in poi, sono a rischio l’apertura del Mausoleo di Teodorico, del Battistero degli Ariani e, colpo davvero mortale, della splendida Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Vi pare poco? Se così fosse, si colpirebbe al cuore la finalità turistico-culturale dell’amata città romagnola!
Tre grandi mete, testimonianze dell’antichità ravennate, patrimonio dell’umanità, chiuse ai turisti per mancanza di custodi che vigilino, facciano i biglietti d’ingresso e si assicurino della buona accoglienza dei visitatori. E, cosa davvero ancora più assurda, inaccettabile, tutto questo per la mancanza di solo 12 custodi, carenza già nota da due anni, ma mai contrastata dal Ministero della cultura: questa la denuncia sulla stampa locale degli ultimi giorni di Giorgio Cozzolino, direttore regionale dei musei statali dell’Emilia Romagna.
Nessuna novità! L’odierna denuncia del citato dirigente richiama alla mia memoria quella pari del Soprintendete ai beni artistici e storici di Firenze e del direttore della Galleria degli Uffizi che nella prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, pensate un po’, 40 anni fa, allora lavoravo proprio agli Uffizi, denunciavano la grave carenza di custodi in tutti i musei statali fiorentini. Ancora nessuna novità! Ritrovo nelle attuali parole del direttore Cozzolino la stessa denuncia di mancanza di custodi, già presente nel periodo 1986-1988, quando prestavo servizio, guarda caso, presso la Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Ravenna.
Come faccio, tout court, a non incazzarmi! Lascio il galateo a chi, da sempre, Ministero dei beni culturali o il suo corrente surrogato, Ministero della cultura, lancia il sasso in piccionaia e nulla di più oppure nasconde la polvere, lo sporco dei problemi sotto il tappeto, lasciando a nuovi venuti l’impiccio di trovare una soluzione. Che noia, che sbadiglievole solfa, che lamentevole tiritera! Le stesse pure le giustificazioni, ieri come oggi: mancata compensazione dei custodi andati in pensione e nessuna nuova assunzione!
Mai che però si dica come “ab illo tempore”, la cosa è ormai malcostume incancrenito, diversi custodi, assunti come tali, siano poi utilizzati in uffici, quindi in mansioni fuori dalla loro qualifica, mettendosi così in maggiore difficoltà l’apertura dei musei: è una pratica clientelare per soddisfare soprattutto ambizioni di qualche laureato o diplomato, soltanto custode per l’incapacità di vincere concorsi, in linea coi titoli di studio posseduti.
La mancanza dei custodi sopravvive per l’incapacità organizzativa e previsionale del Ministero della cultura, per la responsabilità complice dei sindacati parolai del settore, infine per la grave dispersione di risorse nel settore della cultura: in quest’ultimo caso basta considerare il cumulo di impegno sul patrimonio culturale da parte di stato, comuni, provincie, regioni e fondazioni, tutti orticelli di grande impiego complessivo di danaro pubblico, ma di contenuta ricaduta economica e sociale, perlopiù rape, pari alle teste pensanti.
Franco D’Emilio