In fondo, anche nella Festa della Donna un dolce ci sta bene, perché no una torta mimosa, esplicito richiamo al fiore, tradizionale omaggio al ruolo femminile, magari pure guarnita con ciliegie rubine, lo stesso colore intenso del rispetto, dell’amore, della passione verso le nostre madri o compagne o spose o, ancora, amiche, che con noi devono parimenti condividere il viaggio della vita. E alla vigilia di questo 8 marzo una ciliegina sulla torta non è neppure mancata alla consigliera comunale forlivese del Partito Democratico Sara Samorì, recapitatagli dal suo capogruppo Giorgio Calderoni, davvero in modo malevolo: una ciliegina opaca, priva del rosso rubino di ogni buon sentimento, che pare soltanto paonazza di acredine, livore, forse persino rancida.
Una ciliegina amara, beffarda, consistente nella richiesta, anche legittima, ma formulata con tanta platealità pubblica inopportuna, da parte di Calderoni circa le motivazioni di talune assenze della stessa Samorì da sedute del Consiglio comunale di Forlì. Così, Calderoni ha sbattuto o, perlomeno, fatto sbattere in prima pagina la bionda consigliera perché si giustifichi dall’aver fatto ripetutamente forca al Consiglio comunale e, inflessibile Torquemada politico, così lo ritrae la foto su un quotidiano, ha levato il suo indice ammonitore e fustigatore.
Ho sempre dubitato di quanti puntano al cielo l’indice di “magister vitae”, tanto più in politica; adesso ne fa le spese una donna, militante nello stesso partito del severo censore, quindi una “compagna” strapazzata da chi con lei poco compagno si rivela. Perché non limitarsi ad un confronto schietto, pure critico con l’interessata, all’insegna della comune militanza politica e della disponibile comprensione delle ragioni personali, per la Samorì impedimento alla frequenza di talune sedute consiliari?
In questo caso, anche i compagni davvero “parenti serpenti”, come accade un po’ in tutti i partiti e partitelli, ma nella richiesta di Calderoni per un ufficiale, pubblico “redde rationem” delle assenze in questione c’è l’aggravante di porre alla gogna mediatica la malcapitata Samorì, svilendone il ruolo, soprattutto la credibilità politica, così da indurla a gettare la spugna, lasciare il seggio in consiglio comunale, magari al primo dei non eletti.
In realtà, è in corso un sotterraneo regolamento di conti tra chi, come Calderoni, resta nel PD a trazione Elly Schlein, e chi all’opposto, come appunto la Samorì, si ritiene libero dopo l’avvento della nuova segretaria italo-svizzera-statunitense, quindi nella possibilità di lasciare con un bel “ciaone” il Partito Democratico, mantenendo il seggio comunale con l’adesione al gruppo misto. Ecco, il motivo della tanta premura di Calderoni a mettere alle strette Sara Samorì, fra l’altro sempre corretta nella sua presenza in consiglio comunale: ha giustificato per gravi motivi personali o lavorativi le sue assenze, ovviamente non intascandone il relativo gettone di presenza.
Conosco, da tempo, Sara Samorì: la ricordo quando, anni addietro, frequentava per le sue ricerche storiche l’Archivio di Stato di Forlì ed io fornivo a lei, come a tanti altri utenti, le informazioni utili per navigare tra i fondi in deposito a quell’ufficio, dove ero funzionario tecnico-scientifico. Ci dividono diverse cose, pure sul piano politico, ma la stima reciproca non è mai mancata: potrei esserle ampiamente padre, considerati quasi sei lustri di differenza d’età, e, di conseguenza, credo di avere ampia maturità di giudizio per ritenerla persona preparata e di grande vivacità intellettuale, pure animata da una grande passione per lo sport e la sua capacità educativa. Tanti apprezzano la sua schiettezza, la sua solidità culturale ed umana, come dimostra anche l’ampio consenso di preferenze elettorali.
Per questo mi dispiace che, proprio nella ricorrenza della Festa della Donna, sia stata bersaglio di un attacco, umanamente e politicamente incomprensibile perché immotivato e oltremisura, da parte di uno zelante travet di partito.
Franco D’Emilio