In anteprima, pronto persino a scommetterci sopra, penso, sin da ora, di essere certo della riconferma di Gian Luca Zattini a sindaco di Forlì alle amministrative del 2024. Tale certezza mi deriva dalla presa d’atto dalla crescente inconsistenza, vaghezza dei suoi avversari, in modo particolare della lista civica “Forlì e Co”, sempre più maldestra “armata Brancaleone”, perché politicamente senz’arte né parte. Pochi giorni addietro, dalla stampa locale ho appreso dell’iniziativa di “Forlì e Co” di promuovere alcuni incontri pubblici i cui esiti possano contribuire “alla costruzione di un campo largo di ispirazione civica e progressista, alternativo all’attuale amministrazione comunale di centrodestra”: la novità sta tutta nel campo largo, aspirazione di un centrosinistra d’opposizione, costretto ad ammettere come, sinora, la sua presenza e la sua azione politica siano, invece, rimaste confinate solo nel campo ristretto di un calcio balilla.
Che tonfo per una lista civica che nella sua denominazione “Forlì e Co” ha avuto l’inconsistente, tale alla luce dei risultati, audacia di abbinare il futuro della città alla sillaba comune, iniziale di tre parole: collaborazione, cooperazione, comunità. Mai tali vocaboli furono così ingloriosamente usati e disattesi, addirittura ignorati dai cittadini, tanto da rimpiangere che la lista non si sia chiamata “Forlì dammi tre parole, sole cuore e amore”, perlomeno evocando l’allegria dell’omonima celebre canzone in tanti elettori della sinistra, ormai amaramente disillusi e senza bussola. Alfieri di questa sorprendente trovatona del campo largo sono Giorgio Calderoni e Federico Morgagni, entrambi consiglieri comunali di Forlì e Co., il secondo con funzioni di capogruppo.
Calderoni anche vigile cerbero ed inesorabile, pubblico censore della condotta dei consiglieri del suo gruppo, come efficacemente ha dato il meglio di sé nella recente vicenda consiliare di Sara Samorì; Morgagni giovane, scalpitante promessa politica di vane speranze. Quasi due generazioni li separano, eppure entrambi sono accomunati dalla stessa virtù ovvero l’uso del politichese, a volte persino ermetico, insomma incomprensibile, oppure esoterico ossia comprensibile solo agli addetti ai lavori o, ancora, in conclusione, arcano. A tal proposito, relativamente al tema del secondo incontro pubblico di Forlì e Co. sull’architettura e l’edilizia del periodo fascista, leggo che si discuterà della “natura dissonante del patrimonio architettonico ed urbanistico ereditato dal regime totalitario del Ventennio dalla duplice valenza: fisica e concettuale…”: mi fermo qui per evitare giramenti di capo ed altro a qualche lettore, frastornato da tanto ghirigoro parolaio, dote unica di una sinistra che, ormai parla ai cittadini, credendoli tutti seduti in salotto a constatare a bocca aperta “caspita, come parlate bene!”.
Dunque, ho appreso solo adesso, per carità nulla esclude che io sia un caso di ignoranza asinina, che il patrimonio architettonico del ventennio sia dissonante, cioè? Poiché, qui, si ricorre al significato figurato di dissonante e dissonanza intesi, rispettivamente, come discordante o disarmonico e discordanza o disarmonia, facciano grazia i consiglieri Calderoni e Morgagni di illuminarci come tali vocaboli possano riferirsi, intendersi riferiti agli edifici, pubblici e privati, dell’era fascista. Naturalmente, non mi sfugge come, sotto sotto, vi sia soltanto l’intento maldestro e in malafede di manipolare la storia, agitare lo spettro dell’incombente Fascismo attraverso “la necessità di Forlì e Co. di accompagnare l’oggetto del passato con un significato critico-storico che lo svincoli dalle possibili autocelebrazioni e dagli intenti politici e culturali originari”.
E questa sarebbe la chiarezza di uno dei tre incontri pubblici per costruire il campo largo del centrosinistra e portarlo a vincere alle amministrative del 2024? Il sindaco Zattini tenga salda la barra e navighi sereno il suo mare, l’approdo della riconferma è certo. Alla strana coppia Calderoni-Morgagni per il campo largo del centrosinistra forlivese resta solo una prova d’umiltà, quella di misurare quanto entrambi, essi sì, siano dissonanti dalla realtà della città.
Franco D’Emilio