Perché, invece che Miglio Bianco, non chiamare Miglio del Novecento il viale forlivese dalla stazione ferroviaria a piazzale della Vittoria, poco più di 800 metri? Eviteremmo una definizione che, pur nel suo candore, non significa niente perché scollegata dalla storia e dall’attualità della città e proporremmo, poiché una proposta, alternativa in concretezza e credibilità, deve sempre essere avanzata, una definizione che tanto rappresenta quanto il Novecento abbia inciso e, tuttora, incida sulla vicenda storica e sociale di Forlì.
Il Novecento è stato un secolo di grande trasformazione del mondo intero: tragico, rivoluzionario e autoritario nella sua prima metà; più costruttivo di pace, benessere, anche attraverso la conoscenza scientifica e tecnologica, e, soprattutto, più attento alla ricerca di rinnovata democrazia nella sua seconda metà.
Il Novecento ha ampliato i confini del pensiero, abbattuto con innovative avanguardie i canoni di polverosa rigidità espressiva, letteraria e artistica, soprattutto ha spalancato, nel bene e nel male, le porte della partecipazione popolare alla sempre più ampia vita delle comunità nazionali e sovranazionali.
Istruzione, stato sociale, estesa rete di mobilità ed ogni altra forma di comunicazione, queste le maggiori conquiste dell’ineffabile secolo XX: sapere e conoscere di più, sentirsi più difesi e assistiti, parlare e spostarsi ovunque nel mondo, questo è stato il Novecento per ogni italiano, quindi ogni forlivese.
Attorno all’asse stradale, dalla stazione a piazzale della Vittoria, il Novecento ha realizzato a Forlì un nuovo, innovativo polo di sviluppo della città, eccentrico rispetto al centro storico con piazza Saffi e con un assetto urbanistico che esaltasse la convivenza di edifici di varia destinazione finale d’uso: trasporto ferroviario, istruzione, alloggi popolari, educazione sportiva, il lavoro di un’industria all’avanguardia nella chimica applicata; tutto questo nella memoria del sacrificio di sangue, celebrato dal monumento alla Vittoria, a completamento del Risorgimento e dell’Unità italiana.
Penso a quanti giovani abbiano studiato e ancora studino nelle scuole del Miglio del Novecento per diventare, persino, classe dirigente forlivese e nazionale; a quanti abbiano conosciuto la sicurezza e l’agio di un tetto sicuro nello stesso miglio; a quanti, sempre in questo viale, si siano educati allo sport, sognando una vittoria; a quanti dalla stazione siano partiti per conoscere nuove città o per nuovi lavori nel mondo, magari emigranti verso terre lontane, in bocca ancora il sapore dell’ultima piadina, come ebbe a scrivere il sommo Aldo Spallicci.
Nonostante tutte le contraddizioni politiche e sociali del momento, quando vedo treni sempre più moderni da e per Forlì oppure frotte di studenti sciamare allegramente sul Miglio del Novecento, qualcuno anche spericolatamente su un monopattino, allora mi tranquillizzo che ci siano ancora buoni motivi per pensare che la città avanzi, vada oltre. Le premesse del futuro forlivese sono tutte nel suo trascorso ‘900.
Forlì mi ha accolto trentasette anni fa dalla mia amata Toscana, immigrato cero fortunato con un lavoro sicuro e per la finalità, tutt’altro difficile o drammatica, di sposare una forlivese, poi rapitami prematuramente dalla vita. Ho imparato a conoscere ed amare questa città, sfogliarne la storia, leggerne i volti, sentirne le strette vigorose di mano, peccato che non sia riuscito e mai riuscirò a comprenderne e parlarne la lingua.
Non sono ruffiano né incline alla retorica, dico quel che sento, anche per questo non mi arrendo a dire che Miglio Bianco non significa niente, non rappresenta Forlì, è soltanto una baggianata. Preferirei, sentirei di più nel cuore la definizione Miglio del Novecento: a tal proposito, propongo, pure ad opera del direttore di questa testata, la raccolta di firme dei forlivesi per una petizione al sindaco.
Franco D’Emilio