In gioielleria le perle naturali sono sempre più rare e preziose, invece abbondano e crescono ogni anno le perle dello sciocchezzaio agli esami di maturità. Dalla nostra provincia la segnalazione di una maturanda che alla domanda chi fosse Giuseppe Ungaretti ha lapidariamente e testualmente risposto “un poeta famoso per una poesia sulle foglie che cadono in autunno”: che dire, tautologica e sconfortantemente riduttiva! Sempre la medesima maturanda, alquanto acerba e incosciente, al professore, ancora insistente su Ungaretti perché sia definito poeta ermetico, rispondeva decisa con un disarmante e stolto “perché poeta chiuso, riservato, introverso”!
Il prof. si è arreso nella tragica Waterloo dei suoi oltre trent’anni di carriera nei licei, la maturanda, invece, si è guardata attorno, convinta che il silenzio assordante dopo le sue parole, fosse muto apprezzamento della sua capacità di stringatezza. Comunque, la maturanda, graniticamente acerba e desolante, ha conseguito la maturità senza gloria e senza infamia, ha festeggiato con tanto di brindisi augurale “ad maiora”, e, infine, pare intenda iscriversi al corso di laurea in psicologia, coerentemente con la sua definizione di Ungaretti ermetico perché introverso!
Circa la differenza tra Fascismo e Nazismo un maturando riminese, quasi col sorriso di chi chiamato a rispondere ad una domanda facile, scontata, non ha esitato a sparare ad alzo zero la madornale cazzata “i fascisti portavano la camicia nera; i nazisti il teschio con le ossa incrociate sul cappello”! Anch’egli maturo, seppur fradicio di ignoranza, e, pare, orientato verso medicina veterinaria, perlomeno siamo certi della probabile salvezza di alcuni esseri umani. Potrei continuare, ma non voglio infierire, mi fermo dinanzi all’ennesima conferma del fallimento della scuola italiana, incapace di un bilancio complessivo, dico complessivo, di positiva educazione e formazione, di evidente sviluppo delle capacità critiche e riflessive, insomma della scoperta e valorizzazione delle distinte, peculiari personalità degli studenti.
Ecco, questo dovrebbe essere un vero esame di maturità: la verifica della spiccata personalità umana, morale e culturale del giovane, prossimo all’età adulta, quella delle scelte più importanti della vita. Invece, no, oggi soltanto una prova di mediocre riscontro.
D’altronde, si studia con interrogazioni programmate, tesine concordate, verifiche (ex compiti in classe) scarsamente attendibili e, perlopiù, solo aridamente nozionistiche, infine, cosa ancora più grave, senza mai completare i programmi annuali di insegnamento e apprendimento, quindi a scapito sia degli insegnanti che degli allievi. Non stupiamoci, dunque, del fallimentare bilancio alla fine dei cinque anni verso la maturità, ancora di più non cadiamo dalle nuvole se un maturando risponda, come spesso pure quest’anno è avvenuto, “no, questo il professore non ce l’ha spiegato” oppure “con la storia siamo arrivati solo alla fine della I° Guerra Mondiale”.
Da decenni il sistema scolastico italiano è in balia di diversi mali che condizionano la libertà di insegnamento, la qualità dell’apprendimento, l’organizzazione scolastica, soprattutto l’orientamento formativo dei giovani, inteso come vera risultante di un rapporto, proficuo e paritario, tra docenti, studenti e famiglie. Troppo opportunismo sociale e troppo ideologismo di facile accatto che, assieme, confondono il diritto allo studio con il diritto, equivalente alla pretesa, al titolo di studio; mancata valorizzazione, pure remunerativa, della professionalità del corpo insegnante; fuga dalla valutazione del merito e delle potenzialità individuali dei giovani, preferendo, invece, il comune denominatore di un mediocre egualitarismo di partenza per tutti i discenti; infine, la pletora di organismi scolastici, collegiali e no, che ingessano la scuola, rallentando l’autonomia dell’insegnamento: questi alcuni dei mali cronici della scuola italiana.
Per fortuna, i maturati bravi, anche eccellenti, per il proprio impegno e versatilità, esistono ancora, ma sono costretti a pagare il livellamento complessivo al ribasso dell’ordinamento scolastico, persino nei loro successivi studi universitari, dove spesso si accorgono di essere costretti a segnare il passo. La scuola è sempre più sinonimo di superficialità, pressapochismo, massimo utile col minimo sforzo, insomma di un tirare a campare per portarsi a casa un agognato diploma il cui valore legale, altro aspetto di cui dovrebbe discutersi, è praticamente nullo sul piano sociale, economico, lavorativo.
Non sono d’accordo che si abolisca la prova dell’esame di maturità: fuggono dalle prove gli incapaci, i “dritti”, i furbi e furbetti del diplomuccio, convinti che nella vita, quindi negli studi, conti soltanto saperci fare.
Franco D’Emilio