Luogo del delitto culturale è ancora il Festival di Puccini a Torre del Lago, giunto quest’anno alla 69° edizione, celebrativa dell’opera e della figura del grande compositore lucchese. Infatti, pure l’allestimento dell’attuale manifestazione ha riservato al pubblico la sorpresa dello scempio, della cialtronata, della falsificazione culturale.
Nel 2022 era toccato a Tosca, l’opera sicuramente più drammatica di Puccini, risultata maldestramente stravolta da un allestimento scenico inconcludente, senza capo né coda, completamente fuori dalla narrazione e dallo spirito ispiratore del nostro amato Giacomo: da giugno 1800 il racconto era stato spostato al secolo scorso, più precisamente ai “ruggenti” anni ’30 in pieno, sanguinario Fascismo; Mario Cavaradossi era diventato un oppositore antifascista; il barone Scarpia un gerarchetto con l’ambizione di scimmiottare Mussolini; Tosca una titubante e gelosa ammaliatrice, quasi nei panni di diva “dei telefoni bianchi” nei film commedia degli anni ’30; infine, a completamento dell’atmosfera mussoliniana, persino alle guardie pontificie erano state imposte divise fasciste.
Duplice il risultato di questo stolto stravolgimento: l’abbandono del tema dell’amore perseguitato, che a Puccini interessava molto più dell’affresco storico di delitti e sangue, e una sguaiata, servile falsificazione culturale per piegare Tosca agli intenti propagandistici di un antifascismo logoro e nostalgico. Il dissenso di molte critiche e proteste aveva allora sommerso Pier Luigi Pizzi, regista “originalone” di tanto oltraggio culturale.
Quest’anno è toccato alla Bohème, capolavoro del melodramma pucciniano nel giudizio del sommo Igor Stravinskij, anch’essa finita nel tritacarne per romperne, mutarne tempi e contenuti della narrazione.
Dalla Parigi del 1830, scenario della vita difficile, ma libera, anticonformista, anche spensierata di giovani artisti bohémien, a quella del 1968, dunque della contestazione, del fermento ideologico radicale, soprattutto delle tante speranze, poi solo vane illusioni, del cosiddetto “maggio francese”; dalla Mimì ottocentesca, giovane, sventurata ricamatrice di fiori nella trama dell’opera pucciniana, alla Mimì sessantottina, contestatrice in minigonna, tubercolotica e anche un po’ fatta, che riesce davvero difficile immaginare quale destinataria delle parole di Rodolfo: “che gelida manina, se la lasci riscaldar”.
Ve lo immaginate uno che ai tempi del maggio francese si rivolgesse così ad una ragazza, seppur tanto sfortunata? Minimo c’era da passare per sfigato, magari per citrullone o bischerone per dirla alla fiorentina schietta!
Autore di questa sciocchina manipolazione, pagliacciata scenica il regista francese Christophe Gayral, anch’egli un “originalone” in cerca di sensazionalismo perché qualcuno parli di lui. Stavolta, oltre ad una parte del pubblico, ad opporsi tanto clamorosamente a questa falsificazione culturale dell’opera di Puccini è stato il maestro Alberto Veronesi che, bendato, dal podio ha diretto la Bohème nella serata del 14 luglio, la prima di quattro rappresentazioni, le altre tre il 29 luglio, il 10 e 25 agosto.
Il vulcanico Vittorio Sgarbi lo aveva consigliato di rinunciare alla direzione orchestrale, Veronesi, invece, ha scelto di esaltare l’amore, il rispetto per la musica di Puccini, eseguendola ad occhi bendati, pur di non vedere l’offesa scenica alla trama, all’epoca, ai valori de La Bohème originale.
Veronesi ha dato prova di essere un uomo coraggioso, riflessivo, consapevole cosa significhino cultura e capolavori culturali; Veronesi è musicista che non può ignorare cosa e quanto abbia rappresentato la Bohème nell’ispirazione pucciniana, quindi come essa sia espressiva in modo fondato del primo Ottocento francese, non di quanto sarebbe molto in seguito avvenuto; Veronesi non è rimasto prono e indifferente all’ennesimo volgare imbroglio della sinistra postcomunista contro un’opera pucciniana, tanto identitaria della cultura italiana nel mondo. Questo, sì, vuol dire rispetto dell’originalità di un autore del passato.
Il maestro Veronesi ha difeso la musica dal compromesso con la politica, giocandosi incarichi ed esponendosi all’attacco di critiche gratuite e solo di grande idiozia: pensate, persino l’accusa che la sua direzione bendata abbia offeso l’orchestra, le maestranze, insomma quanti hanno lavorato e lavorano per la riuscita del Festival di Puccini.
Suvvia, quando a corto di argomenti e nella difficoltà di ammettere le puttanate delle proprie infelici scelte, la sinistra torna al vecchio, trito repertorio da Inno dei lavoratori.
Di sinistra è l’amministrazione comunale di Viareggio, competente su Torre del Lago, compresa la promozione del Festival di Puccini; di sinistra è l’amministrazione regionale toscana, ispiratrice sul suo territorio di una complessiva politica culturale ancora settaria, servile e clientelare di sopravvissuta “compagna” nostalgia canaglia.
Franco D’Emilio