A puttane con i buoni pasti

Ticket restaurant

Il titolo, lo so, è forte, ma volevo rappresentare, subito e appieno, una finalità davvero inaccettabile: l’utilizzo diffuso dei buoni pasto per pagare le prostitute, cosa scandalosa, esecrabile, ormai pare, praticata da anni, molti ne sono al corrente, ma preferiscono ignorare questo miserevole traffico. Insomma, dal nord al centrosud d’Italia sino alla Campania, più contenuto o inesistente il fenomeno nelle rimanenti regioni, si può andare a puttane e pagarle con i ticket della ristorazione; tutto resta tenuto abilmente sottotraccia, come è consuetudine nel mondo della prostituzione.

Non è cosa da sottovalutare, niente affatto una notiziola pruriginosa, piccante di cui parlare all’ombra oziosa dell’ombrellone nello scorcio del post Ferragosto: la cosa, fra l’altro, riguarda anche la Romagna, dall’entroterra alla riviera, dove, inevitabilmente, si registra l’impennata estiva per quei turisti in cerca di far coincidere la vacanza con la trasgressione, grazie ai buoni pasti al seguito. In fondo, è un appetito che va ristorato, assecondando pure ogni inclinazione, gusto dei clienti, quindi il menù è vario. Certamente, è un fenomeno che contrasta, innanzitutto, con la finalità primaria della ristorazione, insita nei buoni pasto, poi favorisce in modo insolito la prostituzione e il suo sfruttamento, infine assume connotati di truffa, racket di malaffare nelle mani della malavita organizzata.

Da strumento di pagamento predeterminato, utilizzabile da lavoratori dipendenti, pubblici e privati, privi di mensa aziendale, per acquistare piccoli pasti in bar, rosticcerie o trattorie oppure prodotti alimentari in supermercati e su siti on line, purché tutti esercizi convenzionati con le società emittenti, il buono pasto è diventato diffuso compenso di incontri mercenari. D’altronde, poteva la criminalità restare indifferente ad un simile, appetitoso giro d’affari: poco più di 500 milioni i buoni pasto erogati in Italia per un valore oltre i 3 miliardi di euro; 20 i buoni mensili mediamente spettanti ad ogni lavoratore, non più di 8 spendibili al giorno, ciascuno del valore di acquisto tra i 6,50 e gli 8 euro?

Naturalmente, di solito i buoni pasti coprono una parte del costo dell’amore a pagamento.
L’uso improprio, da parte della malavita, ha saputo addirittura vanificare la diffusione, rispetto a quelli cartacei, dei buoni pasto elettronici, caricati su una card leggibile da un POS, per questo di più agile gestione, ma niente affatto più sicuri sul piano del controllo della loro tracciabilità, come si si sperava: infatti, anche questa nuova tecnologia non ha messo alle corde il mondo del malaffare.

Oggi i buoni pasto cartacei convivono con quelli elettronici: i primi sono facilmente cedibili, senza particolari controlli, dal beneficiario ad altra persona; i secondi, invece, hanno imposto alla malavita la creazione di una minima rete di ristoratori compiacenti, che al cliente, interessato a ben altro consumo, leggano e scarichino i buoni pasto elettronici senza, però, erogarne il servizio, quindi avvisino gli sfruttatori lenoni, “pappa” nel gergo della prostituzione, che la prestazione è stata saldata, quindi può essere messa nella disponibilità dei desideri altrui. In quest’ultimo caso risulta contabilmente erogato un certo numero di buoni pasto elettronici che, in realtà, poiché non consumati, restano nella disponibilità materiale, nell’uso del ristoratore e del malaffare, gestiti con una irregolare contabilità sottobanco.

Tutto è iniziato nel gennaio 2007, portato alla luce sul Giornale da un articolo di Mario Giordano “La prostituta accetta i buoni pasto”, quasi all’insegna di un servizio “risto-bordello”: teatro del traffico la Genova dei carrugi, poco distante dal porto, tanto cara a Fabrizio De André. Poi, nel 2015 e nel 2016 più volte fu segnalato a Roma un traffico sesso-buoni pasto, in particolar modo sulla via Ardeatina e sulla via Ostiense; di seguito anche a Milano, Bologna e Firenze. Sempre nel 2015, prima il quotidiano Libero, dopo PadovaToday riferivano di immigrati a puttane con i buoni pasti, offerti loro dalle prefetture per la necessaria ristorazione.

Ora, sembra, che si facciano largo i cinesi con una logistica gestionale davvero efficiente e in barba ad ogni controllo. Infine, sul social per eccellenza persino due recenti community tanto esplicite, mi scuso, nella loro denominazione senza peli sulla lingua: “Andare a troie coi buoni pasto” e “Andare a puttane con i ticket restaurant”, 2925 follower la prima, solo 137 la seconda, appena esordiente. Che altro aggiungere: il mestiere più antico del mondo si adegua e riserva sempre nuove sorprese.

Franco D’Emilio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *