Notizie come la tragedia di ieri, cinque operai impegnati in lavori di manutenzione ferroviaria e falciati alla stazione di Brandizzo da un treno, suscitano tanto dolore, stringono il cuore e i pensieri nella morsa di una reazione immediata che fa correre alla storia dietro ciascuna vita spezzata, alle famiglie dei caduti, soprattutto ai loro figli, poi alla disperazione di chi, salvatosi per un pelo, così è stato pure in quest’ultima disgrazia, si chiederà per tutta la vita quale sottile, eppur resistente filo del destino lo abbia trattenuto dal cadere nella fine di tutto.
L’ennesimo caso di un vergognoso, lungo stillicidio, giorno dopo giorno, di lavoratori morti sul lavoro, fenomeno che da tempo, tutti si sono rivelati incapaci di contenere, risolvere, fra l’altro rifuggendo dal pieno accertamento e dalla esemplare punizione delle responsabilità dei datori di lavoro coinvolti: eppure dietro ogni morte sul lavoro c’è sicuramente una responsabilità palese, complessiva di chi dà lavoro, di chi per legge non sa garantire appieno la difesa, la tutela, la sicurezza lavorativa.
Rischiamo o, forse, neppure più l’assuefazione a questo dramma continuo del sacrificio di cittadini sul posto di lavoro, un’assuefazione quasi pari a quella, altrettanto vergognosa della violenza alle donne, ai fragili, ai diversi, nefandezza che pure tutti condannano e dichiarano di voler contrastare, ma poi lasciano correre cosicché, passata la notizia, donne, fragili e diversi restano di nuovo soli, indifesi, proprio allo stesso modo di tanti lavoratori, più o meno esposti a rischi. Mi sono commosso, sinceramente e profondamente, sospinto da alcune pensieri e anche da un po’ di imbarazzo personale.
Innanzitutto, l’imbarazzo quanto sia stato fortunato nell’aver lavorato seduto ad una scrivania, in ambienti confortevoli e sicuri, sempre gratificato dalla sicurezza del posto, dalla certezza retributiva, persino da gratificazioni umane, morali per talune iniziative o attività svolte. Ho provato l’imbarazzo, rasente la vergogna, di essere stato sì un lavoratore, ma, diciamolo, molto avvantaggiato, fortunato rispetto a chi rischia ogni giorno di morire di onesto lavoro. I miei pensieri alla notizia di Brandizzo sono andati anche ad alcune mie esperienze lavorative, prevalentemente estive, negli ultimi due anni di liceo e, poi, ai tempi dell’università: pur venendo da una famiglia benestante, mio padre ha voluto che dai diciassette anni, accanto alla fortuna della possibilità e impegno nello studio, conoscessi il valore del lavoro, dunque così è stato per me e mio fratello.
Ho fatto il cameriere in un celebre bar di piazza della Repubblica a Firenze, il fattorino per la consegna di medicinali alle farmacie, il metalmeccanico al taglio dei lingotti di lega in un’azienda di micromeccanica ottica, infine il garagista notturno in un grande albergo.
Anche in queste attività sempre assunto in regola con tutto e rispetto a tutto, tranne in un caso, quando cameriere: sul pavimento dietro il bancone di splendido noce con il piano di marmo rosa correvano cavi elettrici un po’ logori, spesso bagnati dall’acqua dei lavelli, il gestore teneva coperta questa insidia con una lunga striscia di moquette, neppure fissata all’impiantito.
Un giorno vi inciampai, rovesciando un vassoio, appena preparato con tre cappuccini e un succo, battei la fronte sul bordo di splendido noce, riportandone dopo pochi minuti un pari splendido bernoccolo violaceo, ma in più davanti agli avventori mi beccai la partaccia, vera e propria sceneggiata carognesca del gestore sulla mia “malefatta” che, alla fine, concludeva con uno rabbioso “E guarda cazzo dove metti i piedi!”, davvero consono al rango di quel celebre locale storico col bancone di splendido noce. A me, in fondo, andò bene, un pesto in fronte e un po’ di gogna pubblica, eppure ieri, dopo la notizia di Brandizzo, mi sono chiesto se qualcuno, più gravemente in questo caso, oserà dire che forse gli operai falciati dal treno dovevano stare più attenti a dove mettere i piedi.
Franco D’Emilio