Oggi le donne sono all’ordine del giorno per le continue violenze che subiscono. Mariti malati di gelosia, amanti che non amano, compagni, si fa per dire, violenti ed è già molto che non arrivino all’omicidio. Ogni giorno abbiamo queste tristi notizie che affollano la cronaca. Non voglio parlare della televisione che ripetutamente, trasmissione dopo trasmissione, affronta a volte in modo troppo violento questi tristi avvenimenti. Si scava all’infinito, sì sulle cause del fatto, ma soprattutto si analizza nei minimi particolari l’omicidio. Quanti colpi.. quante coltellate è stata colpita lì, no là, un resoconto che definire macabro è un eufemismo. Il titolo che ho scelto è forse esasperato nella sua incisività. Ma perché non dirlo? Tutte queste poverette che perdono la loro giovane vita hanno scelto fra tutti gli uomini disponibili quello sbagliato. Molto sbagliato.
Ma non avviene solo oggi. Anche nel passato sono successi fatti simili, per lo meno senza arrivare all’omicidio. Ma rapporti difficili, molto difficili, fra un uomo e una donna sono presenti anche nel passato. Questa che stiamo per raccontare è la vicenda dello sfortunato matrimonio fra Ferdinando Sauli e Antonietta Visconti, celebrato il 10 giugno 1844 e definitivamente concluso il 14 marzo 1853.
Così, tornando indietro nel tempo, voglio citare del 1853 la separazione Thori fra il Conte Ferdinando Sauli forlivese e la moglie marchesa Antonia (Antonietta, Ninì) Visconti Ajmi di Milano “…inter foroliviensem nobilem virum Ferdinandum Sauli ac Antoniam Marchionis Visconti mediolanensis filiam, licet initio gratissimum, brevi tamen … jurgis animi angustiis materiam lacrymabilem praebuisse liquet…(litigi e ristrettezza mentale per litigi e grettezza ha fornito materiale per le lacrime attraverso litigi e angoscia)…“. Così dalla sentenza.
Ma la separatio thori cosa prevedeva? Un’interruzione temporanea o perpetua del debito coniugale e della coabitazione e doveva essere decretata da un tribunale ecclesiastico in presenza di giusti motivi: “separatio a mensa e a thori”, dal tavolo e dal letto. Cessavano gli obblighi di convivenza ed anche quelli economici.
Il palazzo Sauli (vedi foto in alto) è ancora presente in Forlì. È davanti al frontale del Duomo e il 9 ottobre 1895 (è una curiosità) Antonio di Ferdinando chiede alla Municipalità il permesso di alberare la piazza davanti al palazzo stesso. Mai realizzata. Oggi la proprietà della piazza è comunale ed è un parcheggio a pagamento. Il palazzo in origine del Conte Pellegrino Canestri Trotti fu comprato nel 1844 da Ferdinando Sauli, dopo svariati passaggi di proprietà è ancora una volta in vendita. Il primo proprietario dopo i Sauli sarà il Comm. Ercole Galassi che vedremo fra i sei acquirenti della parte prospiciente via Maroncelli nel 1908. Nel suo momento migliore era ricco di molti oggetti d’arte, ne ricordiamo alcuni: una collezione di avori, scatole di porcellana del 1700, maioliche di Sevres, 23 ventagli del 1700. Fra le pitture una testa di vergine attribuita al Correggio, un amorino di Carlo Cignani, nell’archivio di famiglia un ricco carteggio relativo alla corte di Francia e al Risorgimento. Tutto questo è stato nel tempo venduto. Ma torniamo al matrimonio di cui stiamo parlando.
Dalla sentenza del tribunale ecclesiastico si evince in linea di massima che il matrimonio fu un “incontro… fra Ferdinando e Antonia e seppur inizialmente gradevole forniva però materiale per le lacrime nei litigi e nell’angoscia dell’animo. Il carattere duttile e vivace della fanciulla in mezzo agli svaghi più gioviali, provocava una serie di persistenti contraddizioni il cui frutto fu l’irritazione dei loro cuori”. Così nasce il fatale dissenso fra i coniugi e alla fine ogni speranza fu perduta. Dalla sentenza del Tribunale Ecclesiastico emessa in Roma il 14 marzo 1853.
Andiamo con ordine. Il conte Domenico Sauli di Forlì convinto dal cognato conte Giovanni Grillenzoni, personaggio all’epoca assai famoso per i suoi impegni politici di carattere risorgimentale, perchè amico e confidente di Mazzini, accetta il progetto di convenzione nuziale fra suo figlio Ferdinando e la madamigella Antonietta Visconti Ajmi figlia naturale del marchese Antonio, milanesi. È il classico, solito matrimonio che nasce da un contratto fra famiglie, in questo caso nobili e assai benestanti. Il matrimonio si celebra il 10 giugno 1844 e gli sposi partono subito per Lugano dove rimangono due mesi nella villa dello zio, conte Giovanni, onnipresente consigliere, suggeritore di tutta la famiglia. In questo breve lasso di tempo si evidenziano già le caratteristiche negative di questo matrimonio. Ecco un primo profilo di Antonia, Antonietta detta Ninì: capricciosa, stizzosa e irriflessiva, ma quello che è peggio senza cuore. Antonietta è giovane (18 anni, è nata nel 1826) inesperta e frivola ma, contemporaneamente sveglia, astuta ed energica.
E Ferdinando? è nato nel 1820 è un uomo brillante (?), da quanto leggo credo proprio di no, istruito (sì) e con un ingegno vivace, purtroppo è incapace di imporsi e soggiace ai consigli, agli ordini della sua famiglia e non solo, perché ci sono anche i parenti Visconti. Tutti questi nobili benpensanti si preoccupano del disagio che Ninì avrebbe potuto avvertire con il trasferimento a Forlì una cittadina di provincia con una mentalità chiusa e un ben diverso tenore di vita da quello milanese. In casa Sauli non c’è il lusso a cui era abituata. Insomma i due sposi hanno caratteri diametralmente opposti. La sposa ogni giorno inventa qualche menzogna per attirare su di sé l’attenzione e se vogliamo anche prendere in giro i Sauli. Diceva di sentirsi incinta e lo diceva a tutti, ma nessuno ci credeva… Simulava svenimenti, nausee…sporgeva il ventre con malizia. Ma tutti sapevano (la servitù che ascoltava…spiava e riferiva) che il matrimonio non era stato consumato!
Ferdinando quasi vinto dalle bizzarrie della moglie scriveva: “Ninì ha sempre il suo da fare” e sopportava pazientemente. L’aspetto su cui maggiormente l’avevano messo in guardia era l’indole frivola e bizzarra di lei, incline alle facezie. E lei sperperava denaro in sciocchezze e letture. Non solo, coltivava una corrispondenza amorosa pericolosa se avesse potuto avere qualche effetto. Quindi altro problema per una serena convivenza. Comunque, finalmente il matrimonio viene consumato e nel 1846 nasce Clementina. Ma i rapporti familiari non cambiano. Già si comincia a parlare di separazione nonostante che Ninì sia di nuovo incinta. Nasce Antonio nel giugno 1848, ma come abbiamo detto, gli attriti familiari se possibile peggiorano ancora di più. Ferdinando va ad abitare in due stanze separate dall’appartamento della moglie, con ingresso in via del Seminario (oggi via Solferino) al civico n°2. Tutto comincia a precipitare: i dissapori fra i due coniugi sono di dominio pubblico e il numero e la portata dei litigi sono vere e proprie battaglie. Questi rapporti così logori portano a frequenti viaggi fra Forlì e Milano.
Il marchese non manca di di ricordare e pretendere quanto sancito dal contratto prematrimoniale come ad esempio che la contessina debba avere un palco in teatro per lei sola, che le sia mantenuta carrozza e cavallo coll’occorrente servitù e che le venga pagato ogni mese in denaro contante il totale 100 scudi romani. In più l’onnipresente zio Giovanni Grillenzoni scrive: “mi dispero di aver preso tanta parte a questo fatalissimo matrimonio…doveva partire (Ferdinando) con sua figlia e ripudiare quel mostro di sua moglie. E’ tempo di finirla e troncare tutto. Io gli ho indicato tutto il piano da seguire, deve partire d’improvviso colla sua bambina e piantar quell’indegna a Milano. Non è possibile che il povero Ferdinando regga ad un simile inferno”. La separazione così diventa concreta quando il conte Domenico porta via da Milano (quasi una fuga come abbiamo detto) figlio e nipotina. Non solo il 17 aprile 1850 Antonietta parte da Forlì con suo padre per fare ritorno a Milano. Inizia così la causa di separazione davanti al Tribunale Ecclesiastico che termina nel 1853 a Roma.
È separazione definitiva? Il procedimento thori poteva portare ad una separazione temporanea o definitiva, dato che il matrimonio era indissolubile. In questo caso io penso che la separazione sia definitiva. Non poteva essere diversa visto che i coniugi erano già fisicamente lontani, lui a Forlì, lei a Milano. E chiude questa vicenda che distrugge psicologicamente e moralmente queste famiglie Sauli e Visconti, e non dimentichiamoci anche gli aspetti economici che li coinvolgono. Per un attimo voglio proseguire la storia dei Sauli.
Ferdinando muore a Forlì nel 1891 a 71 anni, Antonietta Visconti muore a Brignano (BG) nel 1892 a 66 anni. I loro due figli Clementina nata nel 1846 e sposata con Giuseppe Ghinassi di Faenza muore nel 1892, Antonio come abbiamo già detto nato nel 1848, nel 1878 unisce al suo cognome quello della madre, così i Sauli diventano Sauli Visconti. Nel 1875 il conte Antonio (all’epoca solo Sauli) sposa Camilla Gerez. Non avranno figli. Nel frattempo dobbiamo ricordare il crollo economico della famiglia. Antonio nel 1880 ricostruisce, in stile neogotico, la villa comprata dal nonno Domenico nel 1821 (già degli Albicini) in quel di Bertinoro e che chiama con il nome della nonna e della sorella: Clementina. Oltre a queste spese certamente non di poco conto, Antonio è coinvolto nel 1894 nel fallimento della Banca Popolare Forlivese. Un gravissimo fatto che travolge l’economia della famiglia. Infatti ancor prima della morte di Antonio (1903) la moglie Camilla Gerez vende nel 1902 villa Clementina alla famiglia Petrucci.
Dopo la morte del marito, vende (1908) parti del palazzo e precisamente il fabbricato già ad uso scuderia, selleria e lavanderia costituito di pianterreno e di un piano superiore che guarda via Maroncelli dove negli anni 30 nascerà la Casa del Mutilato. La vedova vende poi anche il palazzo forse per tentare di ricostruire un minimo di patrimonio finanziario.
A mio parere si riserva il diritto di abitazione in una parte dello stesso perché Ettore Casadei nella sua guida del 1928 parla già di Casa Galassi a proposito dell’ex palazzo Sauli. Però nel momento della morte di Camilla (5 marzo 1929) nell’atto relativo è scritto che abitava in Piazza Ordelaffi n°2.
Così termina la famiglia dei Conti Sauli, o meglio dei Sauli Visconti. Sono tutti sepolti nel Cimitero Monumentale, Arcata n° 103 in fondo al portico di sinistra quando incontra quello che porta al Famedio. Non essendoci più eredi, l’arcata porta inevitabilmente i segni del tempo e dell’abbandono. Una parte dell’intonaco dipinto si è staccato e polvere e segni dell’abbandono dovunque.
Nella parte superiore della tomba acquistata nel 1874 c’è lo stemma della famiglia che è fatto da tre scudi ovali, in quello del centro è un simbolo rappresentato da una serpe rivolta a sinistra ed il corpo con varie spirali che riempie l’ovale. In più, nella lunetta superiore, un motto che recita: : Virtus Fidesque mortem vincunt. La famiglia Sauli o Sauli Visconti che dir si voglia, di Forlì si è pertanto estinta.
Nella II° puntata parleremo del matrimonio Ricci- Casali (1802)
Agostino Bernucci