Dal 2016 ho un morto sulla coscienza, senza volerlo sono responsabile di aver costretto a Predappio chi, allora, di dovere a eliminare lo scomodo protagonista di una storia davvero esemplare di grande vitalità in un paese dove, solitamente, tutto langue nel grigiore, al massimo qualcuno corre, corre senza meta, solo per appagare se stesso sotto una veste pubblica.
Non mi pesa la morte di un essere umano, ma quella botanica di una pianta di fico, sì avete letto bene, proprio un fico, spontaneamente germogliato, cresciuto e irrobustitosi su un terrazzo della ex Casa del Fascio di Predappio, nel 2016, come adesso, abbandonata all’incuria e a tanto fumoso, pure costoso bla bla bla. Quando ne scoprii l’esistenza, restai ammirato dell’impensabile esistenza di quella pianta, davvero simbolica per la sua voglia di vita e per tanto suo buon auspicio, allora ve n’era motivo, per l’atteso restauro della ex Casa del Fascio.
Entusiasta di quella scoperta, ne scrissi sui giornali locali, commettendo un grave errore, anzi offrendo il giusto movente alla mano assassina di chi provvide presto a togliere di torno l’incomodo protagonista: per colpa mia, dunque, anche una cocciuta pianta di fico deve annoverarsi tra le vittime più recenti della persistente finalità “Ora e sempre Resistenza!” del riottoso antifascismo e del suo braccio esecutore ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Povero fico, venuto su magicamente per dono dell’imprevedibile natura, ma troncato, proprio il caso di dirlo, nella sua esistenza, ingombrante dopo l’annuncio della mia scoperta.
Sino ad allora, nessuno che si fosse accorto di quella pianta, sempre più emergente e florida da un balcone della ex Casa del Fascio, o, forse, più probabilmente, tutti avevano preferito ignorarne la presenza, nascondendosi, a bella posta, dietro una provvidenziale foglia di fico. Non avrò pace, solo colpa mia, addirittura inconsapevole complice della sinistra partigiana contro un ostinato segno del vituperato Fascismo! Eh, già, segno e simbolo del Ventennio perché con le radici nelle malte cementizie fasciste per vegetare e fruttificare ancora nel presente. Quindi, come lasciare in vita un fico, sin dall’antichità simbolo della prosperità agricola e della fecondità, temi tanto cari al governo in camicia nera?
E, ancora, come tollerare quel fico, la stessa pianta sotto la quale la leggenda vuole nati Romolo e Remo, il primo fondatore di Roma, tanto cara al regime mussoliniano? Eppoi, come sopportare su un balcone fascista predappiese l’esistenza di un fico maschio o “caprifico” senza frutti commestibili perché destinato soltanto a fecondare il fico femmina o “fico vero”, unico o, meglio, unica a dare frutti gustosi e succosi?
No, tutto troppo maschilista, troppo celebrativo del culto fascista della virilità in tempi, già nel 2016, di incombente fluidità di genere con tante inattese, pure rischiose sorprese.
Sempre nel 2016, poco dopo l’annuncio della mia scoperta botanica su quel balcone predappiese in orbace, quel fico, pericoloso testimone del passato, fu troncato e alla mano assassina non rimasero neppure i fichi secchi.
Proporrei l’affissione sulla facciata di quel terrazzo di una pietra commemorativa: Qui incautamente germogliato a rinnovato simbolo di vita e prosperità della Città di Predappio cadde per sega assassina di mano partigiana il fico tenace e indomito sulla rovina di tanta monumentale Casa del Fascio. Ora e sempre memori.
Franco D’Emilio