Non so se piangere o ridere alla notizia che l’on. Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, ‘Giuseppi’ nella memorabile, storpiata citazione trumpiana, abbia denunciato quest’anno, relativamente all’anno fiscale 2022, un reddito lordo pari a 24.359 euro, praticamente una situazione economica da sopravvivenza, da “nuovo povero” nella società dello sfrenato consumismo e di tanta ricchezza, sfrontata e spesso improvvisa, nelle mani di pochi.
Dovrei subito piangere per Giuseppi, personalmente ridotto alla canna del gas, ma proprio non ce la faccio, mi scappa solo da ridere: più lo guardo, tutto elegante e rileccato, parlare in televisione della sua condizione di indigente, più mi convinco che davvero non abbia il physique du role del morto di fame. Che fregnone! Ancora di più non riesco a piangere, ma rido beffardamente al pensiero che il belloccio Giuseppi, inamidato e piacione cicisbeo della politica italiana, con tanta audacia si dichiari ora presunta vittima di quella stessa povertà che, proprio dal balcone della Camera, il M5S aveva dichiarato di aver abolito con il reddito di cittadinanza. Povero Giuseppi, dunque, chi la fa l’aspetti!
Me la rido che Giuseppi sia economicamente quasi in braghe di tela per la totale dedizione all’impegno politico, mettendo da parte il proprio redditizio esercizio dell’Avvocatura: non ci credo, solo apparentemente questa è la versione più raffinata della consueta farsa del “chiagnere e fottere”, così strategica nella politucola pentastellata. Invece, non riesco proprio a rallegrarmi, ma soltanto a piangere con stizza, anche rabbia al pensiero che Giuseppi, ineguagliabile indossatore della pochette nel taschino della giacca, sempre di magistrale taglio sartoriale, abbia dichiarato meno della metà del mio reddito nell’anno ’22.
Per carità, non mi lamento, ma neppure mi sento un fortunato: ho lavorato per 40 anni, comprato casa con un mutuo, ho gestito con attenzione qualche risparmio, mantenuto con grandi soddisfazioni un figlio agli studi universitari al Politecnico di Milano, ma per tutto questo ho sempre corso, perlopiù vestito casual, sempre guardando alla fine del mese e alle scadenze, spesso scapigliato da qualche diavolo di pensiero per cappello; solo raramente e parzialmente elegante, allicchittatu, per dirla alla siciliana, come, invece, sempre appare il nostro Giuseppi, anche nella sua nuova veste di poveraccio.
Questa esibizione di povertà “contiana” è la spudorata, offensiva espressione del più infido populismo: apparire misero contribuente tra i parlamentari per risultare più vicino alla vita grama di tanti italiani, davvero la maldestra e patetica versione del “povero ma bello” di un celebre film del regista Dino Risi nel 1957.
Franco D’Emilio