Un secolo fa proprio di questi tempi, e sotto il governo Mussolini alla guida del Paese dall’autunno del ’22 dopo l’insurrezionale Marcia su Roma, si intensificavano le prove tecniche di impianto e trasmissione del sistema radiofonico, fortemente voluto dal Fascismo, quale ulteriore impegno nella modernizzazione della vecchia Italia liberale.
Non è, quindi, un caso che questo ricordo celebrativo venga illustrato dalla foto di una Radio Balilla, prezioso apparecchio funzionante e splendidamente conservato della Collezione Storica Franco Nanni di Predappio, una raccolta davvero unica e, per questo, dichiarata giustamente “di interesse storico nazionale” dal nostro Ministero della cultura. Poi, ad agosto del 1924 il governo in camicia nera affidava definitivamente la concessione delle “radioaudizioni circolari”, così nel linguaggio burocratico dell’epoca, all’URI, Unione Radiofonica Italiana, società appositamente creata a Torino per la gestione del nuovo servizio pubblico: compito, questo, svolto con tanta cura tecnica e redazionale sino al 17 novembre 1927 quando il Regio Decreto Legge n. 2207 imponeva la trasformazione dell’URI nell’EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, operante pienamente sino al 26 ottobre 1944.
Sicuramente, nonostante tante difficoltà iniziali, il governo mussoliniano accese la radio in ogni angolo della nazione, fosse pure quello più lontano ed emarginato, ma è anche vero che la radio diventò subito la voce del Ventennio, amplificatrice della propaganda, del culto e dei principi educativi del Fascismo.
Dunque, nella prima serata del 5 ottobre 1924 si trasmetteva in via straordinaria un discorso di Mussolini su temi economici, ma solo il successivo 6 ottobre alle ore 21 si inaugurava ufficialmente l’inizio delle trasmissioni radio in Italia con un programma di musica operistica, da camera e da concerto, un bollettino meteorologico, infine brevi notizie della borsa: tutto introdotto da un annuncio illustrativo della nota violinista Ines Viviani Donarelli e non di Maria Luisa Boncompagni, come erroneamente si è sostenuto per lungo tempo. Comunque, il viaggio della radio nell’era fascista fu rapido ed esteso.
Ai primi di gennaio del 1925 l’URI veniva autorizzata allo svolgimento di attività giornalistica, quindi alla diffusione di informazioni di interesse pubblico, anche in collaborazione con agenzie di stampa nazionali; il 18 gennaio ’25 usciva il primo numero del settimanale Radiorario, rivista per informare sul palinsesto dei programmi radio, pubblicizzare l’acquisto stesso del nuovo apparecchio e, infine, raccogliere, intendere i gusti del potenziale pubblico di radioascoltatori, ancora tutto da formare; nel giro di soli due anni, entro novembre 1926, si regolamentava l’introduzione della pubblicità radiofonica, data in gestione alla concessionaria Sipra, e alla prima stazione emittente nel quartiere di San Filippo a Roma si aggiungevano quella di Milano e di Napoli, costituendosi in tal modo i presupposti di una rete, estesa da nord a sud con tre centri di produzione e trasmissione.
Informazione, pubblicità e intrattenimento diventarono presto i campi d’attività della radio, della quale il governo fascista intuì la grande, immediata capacità propagandistica, ma anche l’opportunità di farne uno strumento educativo per contrastare il diffuso analfabetismo: dai primi anni ’30 buona parte delle Case del Fascio furono dotate di un apparecchio radio, utilizzato nel tardo pomeriggio di alcuni giorni per corsi di alfabetizzazione, insomma un’anticipazione radiofonica del televisivo “Non è mai troppo tardi” del 1960, condotto dall’indimenticabile maestro Alberto Manzi.
Questa dotazione ad ogni Casa del Fascio realizzò l’obiettivo fascista della cosiddetta “radio popolare” al motto “Ogni paese deve avere la sua radio”: questo grazie anche alla realizzazione di appositi apparecchi economici, appunto come la Radio Rurale e la Radio Balilla, utili a contrastare il costo del nuovo mezzo, particolarmente caro nel primo decennio dal suo esordio.
Indiscutibilmente tutto questo costituì una rivoluzione comunicativa fascista, profondamente incisiva del costume e della cultura italiana.
Franco D’Emilio