Alla fine, su Graziano Rinaldini, candidato sindaco di Forlì per il centrosinistra alle prossime amministrative di giugno, non manca neppure qualche spigolatura, insomma qualche notiziola, solo apparentemente secondaria, per carità nulla di che, tuttavia utile a meglio inquadrare il personaggio. Poco dopo la pubblicazione di ieri del mio “Graziano Rinaldini come un testimone di Geova alla porta” ho ricevuto un’informazione, pure dettagliata, sempre la stessa, separatamente da persone diverse, comunque fonti molto attendibili, tutelabili nella loro riservatezza: il nostro Rinaldini, classe 1957, durante la frequenza dell’Istituto Tecnico per Geometri di Forlì è stato un solerte agit-prop comunista, pronto a sobillare gli studenti con il piglio del compagno, aspirante leader e guida dell’inevitabile destino rivoluzionario “andate avanti voi che io vi seguo dopo!”
Parliamo, dunque, degli anni ’70, periodo di grave tensione sociale e politica, segnato dalla violenza e dal piombo degli estremismi contrapposti di destra e sinistra, brodo di coltura di corrispondenti, terribili terrorismi; la scuola e l’università erano spesso l’accademia di formazione di tale avventurismo pseudo rivoluzionario, solo tanto esagitato ed inconcludente. Bene, proprio in quella “notte della Repubblica”, così Sergio Zavoli definì quegli anni oscuri, il nostro Graziano Rinaldini cercava di attuare nella sua scuola le “direttive agitative”, provenienti dalla federazione forlivese del PCI e dalla sua organizzazione giovanile, in passato ogni partito aveva i suoi ragazzi, balilla o pionieri che si chiamassero. Bastava che il politbjuro comunista di Forlì decidesse uno sciopero o una protesta od altra diavoleria nelle scuole cittadine e subito con tanto zelo, senza batter ciglio, il giovane Rinaldini eseguiva l’ordine.
Alcuni suoi ex compagni di scuola ancora se lo ricordano molto bene nell’esercizio delle sue funzioni di militante per la rivoluzione comunista, compresa quella contro la scuola borghese meritocratica, con troppo studio, quindi poco inclusiva degli asini; ancora bene se lo ricordano con addosso l’immancabile eskimo, iconico capo d’abbigliamento della gioventù di sinistra tra il ’68 e gli anni ’70; ancora bene se lo ricordano per il cipiglio, i modi determinati, anche spicci con i quali svolgeva il suo compito; ancora, però, si chiedono invano cosa mai tenesse sotto l’eskimo, chissà, forse qualche mezzo persuasivo? Inevitabile che ad un compagno, tanto solerte e di nessuna domanda, si aprissero le porte delle cooperative rosse: davvero l’uomo giusto, un perfetto manager della fatica proletaria altrui.
Alla fine, il destino del nostro Graziano Rinaldini, ora così bonario e in odore di santità, cita, persino, parole di San Paolo ai romani, è stato lo stesso di Massimo D’Alema ed altri dirigenti del PCI: piromane in gioventù, pompiere nella vecchiaia, addirittura con l’ambizione di riciclarsi sindaco di Forlì. Vanamente, Graziano Rinaldini confidava che tutti fossero, ormai, dimentichi delle sue prodezze giovanili di inflessibile agit-prop del PCI oppure inclini all’ipocrita perdonismo “erano solo ragazzate!”, ma il passato torna sempre ed il destino, il futuro di Forlì non possono certo rimettersi con piena fiducia nelle mani di chi con simili precedenti di parzialità e faziosità ideologica.
In fondo, dall’alba si indovina il giorno.
Franco D’Emilio