Solitamente il proverbio “Tra moglie e marito non mettere il dito” è il saggio consiglio a non immischiarsi, mettersi nel mezzo di una disputa coniugale: meglio lasciar correre. Nel caso, però, della coppia gay forlivese di M. e F., divenuti, a seguito di un’unione civile, celebrata a fine agosto 2016, innovativi sposini perché fuori dall’ordinaria, consueta configurazione matrimoniale, bisogna dire che l’invito a non mettere il dito significa, invece e soprattutto, udite, udite, non macchiare o, addirittura, non profanare l’aura protettiva della sinistra politica italiana, unica ispiratrice, sostenitrice e paladina salvifica perché il grande amore dei due protagonisti, si concretizzasse nella solita festa di scambio di fedi, confetti e tradizionali auguri.
Purtroppo, a non rispettare quest’ultimo invito, quindi colpevole di aver oltraggiato lo spirito ideologico della sinistra nella sua esclusività pervasiva e interprete del mondo gay, è stata Sara Samorì, nel 2016 politicamente nel Partito Democratico, come tale assessora forlivese allo sport e, guarda caso, ad agosto celebrante, nelle vesti di pubblico funzionario con delega allo stato civile, proprio l’unione dei due sposini M. e F., fra l’altro pure suoi amici. Agli occhi dei due coniugi la Samorì è colpevole, candidandosi ora nella lista di centrodestra a sostegno di Gian Luca Zattini, di tradimento della sinistra e, di riflesso, della lunga battaglia di questa stessa per i diritti civili del cosiddetto mondo arcobaleno, che male ho sempre inteso e intendo su quale cielo debba apparire e da quali sventure rasserenarci.
Per i due anacronistici calvinisti dell’ortodossia della sinistra e del suo collegato universo LGTB la Samorì, tanto sfrontatamente e indegnamente, nella sua pagina social di propaganda elettorale, quale candidata, adesso, del centrodestra al Comune di Forlì, ha osato utilizzare, lei pure nello scatto, una foto della loro unione, così, ohibò, memorabile, epocale, simbolica della lotta della sinistra forlivese per i diritti civili e della stessa storia di Forlì. Al momento, però, stando alle claudicanti affermazioni dei due, mi chiedo se essi, a questo punto, ritengano invalida la loro unione civile, data la diversa, odierna collocazione politica dell’assessora, a suo tempo celebrante, oppure stiano soltanto menando il can per l’aia con semplici paturnie stizzose, pretestuose, magari pure pilotate ad hoc per attaccare con tanta ostilità Sara Samorì, rea di aver voltato le spalle al PD, partito dal quale, da oltre un anno, non si sentiva più rappresentata, tanto da essere transitata nel gruppo misto del Consiglio comunale.
Samorì è persona dabbene, culturalmente preparata e, ancora di più, cosa che non guasta, competente ed esperta sul piano amministrativo, dunque in grado di esprimere molto, a differenza di vari ottusi politici, pure laureati, ma, spesso, neppure in grado di fare un cerchio col culo di un bicchiere. La conosco da tempo, la stimo, nonostante le sue idee siano ben lontane dalle mie. Per questo non comprendo l’acredine muriatica con la quale è stata aggredita proditoriamente dalla coppia gay in questione: addirittura, M., il marito della coppia, come lo ha indicato il maggior quotidiano locale, ha apposto sulla foto del fatidico sì alla presenza dell’assessora la volgare scritta rossa “Non autorizzata”, volgare perché espressiva solo di ignoranza bella e buona.
Come dimenticare che la celebrazione di un matrimonio, di un’unione civile sono momenti pubblici e di dominio pubblico resta tutta la parte celebrativa e festiva condivisa nell’immediato, al momento, con il pubblico testimone? La richiesta dei due sposini non ha alcun fondamento, Sara Samorì non deve affatto rimuovere quella foto che la ritrae assieme ai due protagonisti perché ha il diritto di manifestare come oggi, pur in una sua diversa collocazione politica, resti immutata la sua convinzione sulla giustezza della battaglia sui diritti civili per il progresso sociale della nazione. La mente dei due sposi, in realtà, è ottenebrata da tre fattori: un’intolleranza faziosa, un argomentare illogico e contradditorio, infine un fine vendicativo prezzolato.
Che triste scena quella di una coppia gay che sfodera l’intolleranza nei confronti di un’amministratrice, figura istituzionale di una realtà locale, gradatamente prodiga di crescente, tolleranza per riconoscere e suggellare vincoli d’unione tra persone omosessuali! Allucinante, quasi pari alla storia del bue che disse cornuto all’asino! Che misera figura mettere su solo aria fritta di considerazioni strampalate e, cosa più grave, la richiesta di perentoria rimozione di una foto che appartiene all’archivio della storia della città e a quello personale di Samorì, amministratrice pubblica e delegata allo stato civile! Che pochezza dissimulare in una polemica pretestuosa, insensata il proposito vendicativo, probabile su mandato, contro la Samorì!
Non basta dire, come fa sempre il maritino della nostra coppia, “La coalizione in cui si è voluta (nda: si sottintende l’ex assessora celebrante) mettere non ha mai appoggiato i diritti civili, anzi se potessero li cancellerebbero pure”: ma cosa dice, come fa a non sapere o a fingere di ignorare che esistono numerosi circoli omosessuali di destra, ugualmente impegnati nel riconoscimento dei diritti civili? In verità, con tanto inganno i due sposini hanno cercato e preso, a bella posta, la scena di paladini della sgangherata sinistra locale arcobaleno, chissà forse agenti prezzolati su incarico del PD forlivese; Graziano Rinaldini, candidato sindaco di Forlì per la sinistra dovrebbe prendere le distanze da simili campioni di maldicenza contro una donna, la Samorì, indiscutibile figura di chiara e responsabile coscienza politica.
Franco D’Emilio