Andateci tutti, così vi renderete conto. Fidatevi, non vi mando chissà dove, tanto meno a quel paese, vi invito soltanto ad andare al cinema a vedere il film “Berlinguer – La grande ambizione” del regista Andrea Segre, realizzato 40 anni dopo la morte dell’ultimo grande leader del Partito Comunista Italiano, dopo di lui solo un giusto, inevitabile declino. Io ci sono andato in un pomeriggio infrasettimanale, quando, solitamente, pure a Roma i cinema sono meno frequentati, quindi più tranquillamente avrei potuto vivere una “full immersion” nella storia del nostrano partitone comunista attraverso le vicende di uno dei suoi maggiori protagonisti, appunto Enrico Berlinguer.
Grande la mia attesa, saggiamente supportata da una bottiglietta d’acqua e da qualche immancabile gommosa alla liquirizia, rigorosamente “sugar free”: la prima per bagnare un eventuale, insorgente, seppur improbabile, mio nodo alla gola; la seconda per agevolare la salivazione in un momento di particolare emozione. Mi aspettavo tanto, invece nulla di più di quanto già noto e, ormai, scontato, convincendomi anche come improprio e ingannevole sia il titolo scelto dal regista Segre. Ma quale Berlinguer – La grande ambizione? Piuttosto, Berlinguer – Il fallimento di una grande illusione!
Proprio così, il miraggio di portare il PCI al governo sul filo del fragile e rischioso, perché avventuristico, “compromesso storico”: entrare nella stanza dei bottoni, giungendo a patti con la trasformistica destra democristiana, di conseguenza tirando un frego indelebile a cancellazione di un trentennio di opposizione comunista, sicuramente forte, ampia, ma senza alcuna possibilità di governare, data la sua incapacità di costituire e rappresentare una maggioranza politica di sinistra alla guida del paese; tutto questo, nonostante la significativa avanzata alle amministrative del ’75 e alle politiche del ‘76. In conclusione, l’amara illusione della base comunista italiana, forzata dall’ambizione malriposta del solo Berlinguer e del restante vertice dirigente del partito.
Al riguardo, semplicemente stucchevole la scena di un pedagogico Berlinguer che sul tema del compromesso storico cerca di fugare i dubbi, le perplessità dei compagni di Ravenna. Berlinguer – La grande ambizione non è un film celebrativo, agiografico e ideologico perché solo tanto grigio, sciapo e scialbo nel suo manifesto e, direi, esclusivo interesse di anteporre sommessamente l’umanità personale, l’intimità familiare di Berlinguer al suo stesso ruolo di leader politico, puntando, in tal modo, alla condivisa celebrazione dell’uomo sul capo di partito.
Da qui, i ripetuti, anche ruffiani siparietti sul Berlinguer casalingo, a suo agio e libero soltanto nella propria serena realtà domestica da Mulino Bianco. Quello del regista Segre è un Berlinguer eroe romantico contro l’ottusità ideologica del comunismo sovietico, contro le divisioni interne al PCI, contro lo stereotipo del compagno rivoluzionario e antiborghese, ma, contraddittoriamente, è pure il protagonista dell’ambiguità politica di far convivere compromesso storico e tradizione comunista, è persino la vittima consapevole della rete infida di collaboratori e spie dentro il PCI: tragicomico vedere che durante il colloquio con un alto dirigente del suo partito il celebre Enrico alzi il volume della radio perché non odano altre eventuali, inopportune orecchie in ascolto.
Tutto questo personaggio, mestamente e grigiamente interpretato dall’attore Elio Germano, quasi con il pari afflato, lo stesso sentimento partecipativo, rivelati nel film del 2014 “Il giovane favoloso” su Giacomo Leopardi per la regia di Mario Martone: la mancanza della gobba leopardiana, appunto, unica differenza interpretativa di Germano nel film di Segre sul leader comunista. Berlinguer – La grande ambizione è un viaggio nella frustrazione politica del PCI e del suo segretario Enrico a cavallo tra la seconda metà anni ’70 e gli iniziali anni ’80; è la vicenda dell’inizio, direi le radici, dell’inesorabile tramonto in Italia del movimento comunista, ormai pressato da nuove, moderne spinte liberiste.
Tramonto che ha catalizzato e sospinto un crescente impoverimento culturale e politico attraverso una sequenza altalenante di scissioni e sigle (PCI, PDS, DS, infine PD). Uniche note, degne di attenzione del film di Segre, sono il tanto latte bevuto e il tanto fumo aspirato dal compianto Berlinguer: un bicchiere dopo l’altro, una sigaretta dietro l’altra, davvero la giusta sequenza per rappresentare la contraddizione del comunismo italiano tra infantilismo e la fumosa realtà declinante dell’epoca berlingueriana.
Franco D’Emilio