Miei cari amici e, perché no, miei cari nemici forlivesi, per fortuna pochi e ancora insufficienti per una mia adesione al celebre motto “Molti nemici molto onore”, insomma, miei cari concittadini voglio condividere una conclusione, balzata, stamani, tra i miei pensieri mentre, ai piedi del monumento a Gioacchino Belli in Trastevere a Roma, ero in attesa dell’8, il tram da Casaletto a Largo Argentina. La vista del simulacro del celebre poeta romano e la memoria di taluni dei suoi irriverenti Sonetti romaneschi hanno sferzato la mia vena ironica perché, ormai l’avrete capito, sto bene quando avverto puntute la lingua e la penna, dunque mi sento mordace, pure dotato di rapaci artigli e, all’occorrenza, corrosivo al vetriolo contro taluni, insopportabili difetti, vizi umani.
Adoro pensar male, quando ve n’è il fondato motivo, perché giustamente discepolo della saggezza andreottiana come “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” e, stamani, ai piedi del ruvido, sarcastico Belli ho pensato male di certi uomini, anzi uomini di mezza dimensione, reperibili ovunque, Forlì compresa. La cronaca politica forlivese degli ultimi giorni dopo risultati elettorali regionali davvero indigesti a chi, riottoso a prendere atto di un nuovo, umiliante niet dell’elettore nei suoi confronti, mi ha persuaso del fatto che a Forlì, come dappertutto, proprio nella politica emerga spesso una duplice, stretta somiglianza tra gli uomini e i bicchieri. Mi spiego.
A Forlì e altrove ci sono perlopiù uomini interi, tutti d’un pezzo, soprattutto di solide basi, chiamiamole pure palle, insomma uomini simili a bicchieri trasparenti, di resistente vetro infrangibile, soprattutto di capiente riempimento. In questo caso, agli uni e agli altri può giustamente applicarsi la possibilità del bicchiere solo mezzo pieno poiché la mezza capacità assicura, comunque, sia un consistente contenuto di idee, pregi agli uomini di fattura a tutto tondo sia un soddisfacente riempimento dei bicchieri con buon vino rubino, meditativo dal lieve sentore di viola. Poi, sempre a Forlì e altrove, esistono, purtroppo, pure uomini, già per loro natura di mezza tacca tra le loro mezze teste e mezze code da lombardi pirla o mona veneti, da romagnoli pataca o bischeri toscani, magari da romani fregnoni od ominicchi siculi, insomma uomini di mezza creazione malriuscita, simili a bicchierucci opachi e fragili, appena un sorsino da mandare giù alla svelta: in quest’ultimo caso, la possibilità del bicchiere solo mezzo pieno risulta vana perché pari soltanto alla povera metà della metà dell’uomo tutto d’un pezzo o del bicchiere di giusta capacità per la sete altrui.
Di conseguenza, per gli uomini, nati di mezza misura, giusto mezza testa, e per i bicchierucci da veloce cicchetto il bicchiere mezzo pieno è tristemente pari ad un misero quartino. Che valore abbia, soprattutto quale rischio rappresenti, però, questo miserevole quartino ce lo dimostra l’attuale politica forlivese dove tra qualche mezza testa e la sua corrispondente mezza coda corre, appunto, perfida la spocchiosa presunzione di una vasta nullità umana, manifestazione di equivalente stupidità ovvero scarsa intelligenza. Sorprende che a Forlì e altrove la cronaca politica dia spazio, evidenza a tale stupidità, ma, forse, valgono le argute parole di Ennio Flaiano che ai nostri giorni la stupidità ha fatto progressi enormi e, ohibò, grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si vende moltissimo, ridicolizza il buon senso e spande persino il terrore intorno. Proprio quello che accade a Forlì e altrove dove non manca qualche mezza testa, infida e citrullona, pronta alla vendetta, alla ritorsione per aver perso il giocattolo del potere, della propria autorità strafottente sulla docilità altrui.
È solitamente una mezza testa rancorosa come sa esserlo il giocatore, costretto in panchina, per questo deciso a bucare il pallone, nel migliore dei casi a gettarlo in tribuna perché anche gli altri non tocchino palla; è la mezza testa livorosa, ribelle all’idea di non stare più nella condizione del marchese del Grillo, “Io so’ io e voi non siete un cazzo!”; è la mezza testa disposta a tutto, a seminar zizzania, accuse e discordia, sino al parricidio politico del suo eventuale mentore, tutto questo sempre con la faccia tosta del furbo, convinto della propria abilità a tener chiusi nell’armadio suoi indicibili scheletri. A Forlì, come altrove, deve finire la pazienza dei cittadini e della politica verso tali mezze teste, neppure degne del pezzo di legno al posto del re nell’incipit collodiano di Pinocchio: occorre ridurle al silenzio, all’anonimato della loro miserabile nullità, lo dobbiamo al rispetto della storia, della civiltà e dei cittadini di Forlì.
Franco D’Emilio