Si fosse trattato di un caso isolato ed eccezionale, certamente deprecabile per il suo contenuto offensivo, ma addebitabile solo alla scelta avventata di un pastore, purtroppo dimentico di dover guidare un gregge di anime e non di doverlo sconcertare inutilmente, ebbene, allora, avremmo anche potuto chiudere un occhio e mandare giù il rospo sul filo della comprensione e del perdono. Ma, adesso, dinanzi ad un nuovo caso, increscioso e discusso, che nuovamente fa dubitare del ruolo di chi nei panni di guida spirituale e morale, credo davvero che in Emilia Romagna si debba aprire bene gli occhi sulla considerazione, il rispetto da parte della locale gerarchia ecclesiastica nei confronti della fede, perlomeno del riguardo religioso, poco o molto che sia o ne resti, dei cattolici della nostra regione.
Nel corso del 2024, ben due volte, la Chiesa emiliano romagnola è stata ed è, tuttora, protagonista, pure con inevitabili strascichi giudiziari, di vicende che la vedono accusata del reato più odioso, vergognoso nei confronti di credenti e fedeli di una comunità religiosa: il reato di vilipendio (artt. 403 e 404 c.p.) nel quale incorre chiunque offenda una confessione religiosa e i suoi professanti mediante azioni lesive di valori, appunto religiosi, riconosciuti e protetti sia dalla tradizione storica, umana e civile sia, cosa non da poco, dalle leggi stesse dello stato. Prima, l’arcivescovo di Modena e Carpi, monsignor Erio Castellucci, poi l’arcivescovo di Ravenna, monsignor Lorenzo Ghizzoni, sono entrambi, pensate un po’, sotto accusa per possibile offesa della stessa religione della quale sono pastori: il secondo, addirittura, ai sensi dell’art. 404 c.p. ovvero per danneggiamento di cose destinate al culto, in questo caso, udite udite, la distruzione o dispersione di un’ostia consacrata.
Nel caso dell’arcivescovo Castellucci, fra l’altro, repetita iuvant, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, la clamorosa storia della mostra artistica “Gratia Plena” nello spazio consacrato della Chiesa di Sant’Ignazio a Carpi nella primavera scorsa. Mostra di palese contenuto blasfemo per l’esposizione di opere del pittore Andrea Saltini, così versatile col suo ispirato pennello da passare agevolmente da una Madonna in evidenti atteggiamenti lascivi ad un Cristo in aderente tutina verde pisello gay, sino a giungere al quadro “INRI-San Longino” con Gesù nudo, sdraiato a terra, e il centurione Longino chino sulla sua area genitale in una modalità che, sicuramente, fa prevedere tutt’altra cosa che un pietoso tocco al costato ferito del Redentore. Indagato per vilipendio e vistasi negare la richiesta di archiviazione, sulla quale forse confidava per chiudere tutto e metterci presto una pietra sopra, don Erio Castellucci, stella in ascesi della Chiesa bergogliana, dovrà presentarsi il prossimo 20 gennaio ’25 per un’udienza dinanzi al giudice circa la fondatezza o meno dell’archiviazione nei suoi confronti: davvero una pessima figura per il pastore della diocesi modenese.
Nei confronti dell’arcivescovo ravennate Lorenzo Ghizzoni l’addebito, contestatogli da numerosi fedeli con un esposto presso la locale Procura della Repubblica, riguarda la superficiale, irregolare, insomma incauta gestione della custodia e degli accertamenti su un’ostia consacrata, oggetto di un presunto miracolo eucaristico, avvenuto e testimoniato a gennaio 2023 nella Chiesa di Santa Maria di Savarna, frazione di Ravenna. Dunque, l’affidamento, il controllo e la cura della particola consacrata, l’iter degli stessi esami accertativi sarebbero, secondo l’esposto, stati gestiti con molta approssimazione, con poca scrupolosa attenzione, come solitamente, invece, richiede la delicata materia miracolistica, quindi con l’inosservanza dei protocolli previsti in simili evenienze. Ma, ancora di più, in questo caso della Chiesa ravennate c’è da acclarare cosa sia, comunque, accaduto, dove mai sia, comunque, finita, spero no nei rifiuti, l’ostia consacrata, ripeto consacrata, ovvero corpo di Gesù. I giudici ravennati dovranno, comunque, pronunciarsi sul caso.
In tutti e due i casi, a tutelare i fedeli e difendere la dignità del credo, della ritualità e della tradizione della Chiesa l’irriducibile avvocato forlivese Francesco Minutillo, uomo di legge, ma pure fervente cattolico, in queste circostanze, perché no, autentico, rigoroso “Domini canis”, ossia protagonista quasi emulo dei frati domenicani, un tempo ritenuti vigili cani a guardia della dottrina e dei valori della nostra religione. Nella regione rossa per eccellenza dell’Emilia Romagna i casi dei due arcivescovi, uno per l’Emilia, l’altro per la Romagna, sono la conferma del massimo relativismo, dell’estrema secolarizzazione della Chiesa, sempre più parallela e non più al di sopra delle istituzioni, dei movimenti e partiti politici, nessuno escluso, e, peggio ancora, di chiunque promuova nuovi costumi e nuove professioni di genere, tutto all’insegna di un ipocrita, inconsistente “volemose bene”. La parola ai giudici!
Franco D’Emilio