
Ho letto, riletto le tante parole, davvero una piena torrentizia, spesso solo ripetitive e vuote, spese attorno alla nuova mostra “Il ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso…”, promossa, al solito, dalla monopolista Fondazione Carisp nel complesso museale forlivese di San Domenico. Mi hanno colpito talune affermazioni sulle quali a lungo ho rimuginato, chiedendomi perplesso di quale mai Forlì sociale e culturale parlassero, forse quella dei sogni o di una favola che mistifica la realtà.
Ho meditato sull’affermazione che, grazie alla ventennale organizzazione di mostre da parte della Fondazione Carisp, “Forlì ha cambiato la sua storia“: peccato non ce ne siamo accorti, mancandone una tangibile, diffusa e persistente ricaduta positiva su tutta la comunità forlivese, soprattutto sulla complessiva qualità della nostra vita. Per questo, non capisco le trionfalistiche, altisonanti dichiarazioni di Maurizio Gardini, presidente della Fondazione Carisp, che annunciano “Noi andiamo avanti. Il nostro faro è la coscienza di essere un soggetto organizzatore delle libertà sociali, con l’obiettivo della crescita della comunità sotto ogni profilo”; altrettanto, non capisco lo stesso presidente quando fa intendere di aver realizzato e proseguito “il miracolo italiano” di Antonio Paulucci: forse perché le mostre annuali al San Domenico si rivelassero sempre taumaturgiche?
Poi, è il turno di Michele de Pascale, neogovernatore dell’Emilia-Romagna, degno successore di Stefano Bonaccini, ovvero di male in peggio: “C’è l’impegno della Fondazione che ha fatto una scelta strategica. Le amministrazioni, ormai da anni, vivono grandi difficoltà nel reperire fondi… Forlì è la prova che la cultura è uno dei pochi strumenti davvero in grado di cambiare il corso delle cose.” Peccato abbia taciuto quali cose a Forlì siano mai positivamente mutate nel loro corso. Sono, in conclusione, solo vent’anni che la Fondazione Carisp supplisce, dunque, all’amministrazione comunale, sinistra o destra poco importa, e programma, condiziona, segna indelebilmente la politica culturale cittadina: sindaci e assessori forlivesi alla cultura soltanto poveri chierichetti col turibolo in mano a incensare la Fondazione, unica con la borsa dei denari.
Vent’anni di business culturale di mostre, quasi come le ciliegie, una tira l’altra, ma non a beneficio di tutta Forlì. Vent’anni di un business che neppure rappresenta la vera finalità della cultura, solitamente individuata in due obiettivi: quello intrinseco della culturalità, ossia conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, e quello estrinseco dell’economicità, ossia della ricaduta economica della cultura, comprendente, appunto, pure le mostre, come quelle della nostra Fondazione. A questo punto, la banale domanda cosa mai in vent’anni la stessa fondazione abbia concretamente fatto per l’effettiva culturalità forlivese: tranne qualche contributo di significativa donazione, non mi risulta nulla di strategico quanto l’osannato rosario di una mostra dietro l’altra.
Infine, ho molto soppesato, ma non mi hanno convinto quanti hanno dichiarato che le mostre forlivesi della Fondazione Carisp abbiano sinora garantito un originale modello culturale di Forlì. Ma questi signori sanno cosa sia un modello culturale? Davvero ravvisano un vero modello culturale, ora operativo a Forlì? E, se sì, allora ce lo descrivano, pure con la premura di di indicarci il ruolo della fondazione cittadina. Una sola cosa mi ha convinto: il titolo della mostra “Il ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso…”, davvero rispondente al narcisismo di quanti in questi giorni autocelebratisi protagonisti a vuoto di una, ahimè, inesistente rinascita culturale della nostra cara Forlì.
Franco D’Emilio