
Giusto una settimana fa ero a Forlì per la solita visita cardiologica, ricorrente ogni due anni, quasi pari alla periodica revisione biennale di un autoveicolo. Ad una certa età ancora meglio essere saggi e prevenire, mettendo le mani avanti a tutela della propria salute, anche se nel mio caso tuttora complessivamente buona, bel al di sopra dello standard del vecchietto, spesso rincitrullito.
Da Roma, dunque, a Forlì in un ospedale cittadino per la solita visita cardiologica, corredata di taluni esami diagnostici, ad opera del solito medico, da tempo tutore del mio baldo cuore e del quale sempre apprezzo l’attenta e scrupolosa professionalità. Naturalmente, visita a pagamento, intra moenia come suolesi dire; diversamente, campa cavallo, chissà quando mi sarebbe toccata, forse ad una data soltanto nella vista di un telescopio o della sfera di cristallo di Madame Gigette, maga fiorentina, celebre di non azzeccarne una.
Invece, pagando, visita garantita a breve, due giorni appena dopo la richiesta telefonica da Roma, costo 510 euro la prestazione, più un balzello esoso di 2 euro per chissà mai quali diritti. Ringrazio Iddio e la sorte di consentirmi un esercizio privilegiato del diritto alla salute, quello vanamente garantito dall’art. 32 della Costituzione, perché fuori dalla fruizione di tutti i cittadini: penso a chi con minori disponibilità economiche o, peggio ancora, solo con gli occhi per piangere.
Con 512 euro a tamburo battente mi sono assicurato la repentina verifica che il mio cuoricino batta, oh come palpita di passioni umane, insomma tenga botta, nonostante tanta sua asprezza toscana. Tanti politici, pure forlivesi, dissertano sfacciatamente a vanvera di diritto alla salute e di strategie sanitarie: ho l’impressione, per dirla alla romana, che facciano davvero i froci col culo, le disgrazie altrui.
Franco D’Emilio