Novità forlivesi di vecchiume culturale

Mercoledì in centro Piazza Saffi

L’assessore forlivese alla cultura Vincenzo Bongiorno (FdI) gongola, oh come gongola per la propria, ennesima, superflua iniziativa, da lui considerata culturalmente strategica, ma in realtà priva di ogni originalità e attualità. La nuova impresa bongiorniana è quella di “Storie di Forlì: tornano gli incontri letterari nel centro storico”: cinque autori per cinque libri, ormai logori, assai lontani dalla novità editoriale della loro uscita.

Infatti, “La storia del commercio in Romagna” di Mario Proli risale al 2019, dunque sei anni fa; “La Madonna del Fuoco a Forlì tra pestilenze, flagelli e devozione” di Salvatore Ricca Rosellini è del 2023, pari pari due anni fa; ancora, “Il Calzaturificio Trento Fratelli Battistini” di Annalisa Battistini ci riporta al 2018, ben sette anni fa; di seguito, “Forlì ad opera d’arte” di Simona Palo, è datato 2021, quattro anni indietro, tondi tondi; infine, almeno il più recente, “Giovanni dalle Bande Nere. Il gran diavolo di Forlì”, appunto del 2024, appena un anno fa, opera dell’incombente prezzemolino Marco Viroli.

Considerata la vita media di un libro, ancora di più ridotta se di ambito locale, possiamo concludere che l’assessore Bongiorno ci propone cinque noiose, sbadiglievoli serate di stantio vecchiume culturale. Dove sta la novità del “libro nuovo mi ci ficco” con la curiosità legittima della lettura sotto l’ombrellone di un’ultima uscita letteraria? Non c’è, e i forlivesi devono accontentarsi di una solita, ormai sciapa vivanda letteraria all’insegna del vecchio adagio “o mangi questa minestra o salti dalla finestra”. Insomma, per dare un tono letterario all’estate forlivese l’assessore Bongiorno recupera dal fondo del frigo un trascorso e scontato piatto di vitello tonnato, per longevità forse pure a rischio botulino.

Per carità, gran rispetto dei cinque autori coinvolti, qualcuno fine e riconosciuta firma di corte, qualunque di quest’ultima sia il colore politico, ma tutti sicuramente interessati a smaltire la giacenza invenduta delle proprie fatiche letterarie che, nel caso migliore di un loro spessore contenuto, rischiano solamente di risultare utili a pareggiare la gamba di qualche tavolo traballante. Eppure, la produzione letteraria forlivese è fecondissima; gli autori non mancano e proliferano numerosi; gli argomenti attuali e passati non scarseggiano, tanto che si potrebbe persino lanciare il best-seller saggistico “Tutto quello che i forlivesi avrebbero voluto capire dell’assessore Bongiorno, ma non hanno mai osato chiedere sinora”.

Dove va la cultura forlivese? Meglio davvero la futura gallina forlivese, capitale italiana della cultura, rispetto alla cura del sicuro uovo, sempre fecondo, ma ora abbandonato, del patrimonio culturale cittadino? Tornando alle cinque serate per cinque libri di cinque autori, già consegnati al passato, non resta che rassegnarsi all’inevitabile domanda quanto “repetita iuvant” al desiderio frustrato di originalità e novità dell’assessore alla cultura Bongiorno.

Stamani, un mio solerte agente all’Avana mi ha girato un post social dello stesso assessore: ad un anno dalle ultime elezioni e dalla sua nomina a vicesindaco e assessore l’interessato scrive di salire, sempre tanto cogitabondo e riflessivo, la scalinata del comune, gradino dopo gradino, quasi nell’ascesi mistica, mani dietro la schiena, della “scala santa” della sua passione politica di amministratore pubblico sotto il peso della tanta responsabilità, affidatagli dagli elettori.

Chissà perché mi è venuto in mente il ricordo del grande Enrico Cuccia, padre di Mediobanca, solito camminare, pensoso e a piccoli passi, per le vie di Milano, anch’egli le mani dietro la schiena: ricordo e confronto, però, subito accantonati perché impropri e sopravvalutativi del nostro assessore. Adesso basta, torno a tuffarmi nelle acque ioniche della Magna Grecia, sognandomi temerario incursore, pugnale tra i denti, della bagnarola culturale dell’assessore Bongiorno.

Franco D’Emilio

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